Un Consiglio europeo senza accordo. O meglio i Paesi della Ue pensano che sia giusto attivarsi nei confronti dei Paesi di provenienza dei flussi migratori, per cercare di rimuovere le cause degli arrivi, ma poi restano in disaccordo quando si parla del loro ricollocamento o del pagamento di un corrispondente in denaro per chi non vuole accoglierli. Su questo Polonia e Ungheria non la pensano come gli altri e a niente è servita la mediazione di Giorgia Meloni, che da una parte ha recitato un ruolo da protagonista proprio per questo tentativo, ma dall’altra ha dovuto incassare il no di due premier, Orbán e Morawiecki, che come lei stanno dalla parte dei conservatori.
Ora dovremo aspettare, come osserva Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di Inside Over, il semestre di presidenza europeo della Spagna e non è detto che entro fine anno si trovi una soluzione. L’Italia intanto, visto che anche la Ue ha fatto suo il modus operandi seguito finora dal Governo di Roma, potrà continuare la sua attività diplomatica con Tunisia e Libia, ma dovrà anche gestire gli sbarchi in un periodo particolarmente impegnativo come l’estate. Gli arrivi quest’anno sono molti più dell’anno scorso.
L’accordo sui migranti alla fine non c’è stato: qual è stato lo scoglio su cui si sono incagliate le trattative?
La Meloni ha mediato con Polonia e Ungheria ma entrambe non vogliono sostenere il principio della solidarietà obbligatoria. C’è stata un’impasse su questo. A un certo punto sembrava che l’accordo ci fosse, ma si è cantata vittoria troppo presto. Sostanzialmente si è arrivati a un accordo sulla dimensione esterna del problema migratorio: il Consiglio europeo ha fatto proprio il modus operandi dell’Italia con la Tunisia, ritenendo che bisogna lavorare con i Paesi esterni all’Unione Europea, quelli in cui si origina il flusso migratorio. Un punto condiviso un po’ da tutti.
C’è l’intesa solo su un punto, ma non sui ricollocamenti?
Resta, appunto, il problema della dimensione interna del fenomeno. Polonia e Ungheria non vogliono ricollocamenti nel loro territorio, ma non vogliono nemmeno sborsare per ogni ricollocamento non fatto. Secondo l’accordo del 9 giugno preso dai ministri dell’Interno il ricollocamento non era obbligatorio, ma era obbligatoria la solidarietà: chi non prende in carico i migranti deve corrispondere dei soldi, finanziando così un fondo comune per sviluppare progetti con i Paesi di origine del flusso migratorio.
Tra quei ministri degli Interni c’erano anche quelli di Ungheria e Polonia?
C’erano ma hanno votato no. In quel caso bastava una maggioranza qualificata, quindi il loro no non ha influito sull’approvazione nel documento. In questi giorni, invece, serviva l’unanimità: Polonia e Ungheria hanno di fatto esercitato il loro potere di veto. Insomma, la situazione, nonostante le varie mediazioni tentate, non è cambiata dai primi di giugno a oggi. L’accordo c’è solo sulla dimensione esterna del problema, mentre Polonia e Ungheria non vogliono assolutamente né ricollocazioni né soldi da sborsare in caso di mancata ricollocazione dei migranti.
È uno dei principi fondamentali del piano europeo. Senza di esso si potrà ancora trovare un’intesa?
Varsavia e Budapest da questo punto di vista sono irremovibili. Il premier polacco Morawiecki ha fatto presente quelle che sono le tre priorità che, secondo lui, l’Unione Europea deve affrontare sulla questione migratoria: occorre rinforzare i confini, priorità massima per polacchi e ungheresi, in secondo luogo bisogna potenziare Frontex, per combattere i trafficanti, e in terzo luogo si deve lavorare con i Paesi di origine del flusso migratorio, per eliminarne le cause. Sul terzo punto come ho detto prima l’intesa c’è, sono tutti d’accordo di aiutare i Paesi esterni per limitare gli arrivi. Ma per Budapest e Varsavia bisognerebbe puntare anche sul livello interno, oltre che sulla lotta ai trafficanti.
Per la Meloni il mancato accordo è una sconfitta politica? I due premier che hanno impedito l’accordo sono suoi alleati.
È una sconfitta a metà, nel senso che da un lato Orbán e il premier polacco sono dell’area conservatrice, politicamente più affini al Governo italiano. Il no, quindi è arrivato dagli alleati. Una sconfitta minore, però, per il fatto che alla Meloni è stato riconosciuto un potere di mediazione nei loro confronti. La mediazione non è riuscita, però la Meloni è stata protagonista.
Questa differenza di vedute potrebbe portare qualche problema allo schieramento dei conservatori in vista delle elezioni?
Meloni ha provato a mitigare le divergenze dicendo che non è mai insoddisfatta da chi difende i propri confini. Le loro ragioni, insomma, vanno capite. Anche se resta il fatto che sono stati proprio gli alleati ad affossare l’accordo. Il nodo politico è che i conservatori non hanno fatto funzionare la mediazione di un altro premier conservatore.
Ma adesso cosa succede senza accordo sul ricollocamento dei migranti?
La partita ora si sposterà al secondo semestre, che è quello che verrà presieduto dalla Spagna, Paese che, tra l’altro, andrà a elezioni a luglio: toccherà a lei, come Paese cui spetta la presidenza europea di turno, provare a trovare una soluzione. Il percorso è in salita, ora come ora tutto rimane invariato. L’unico aspetto che cambia riguarda il via libera alle interlocuzioni con i Paesi terzi, su cui l’Ue potrà investire. Tutto il resto è in alto mare.
Per l’Italia soprattutto resta il problema della gestione dei flussi migratori: proprio in queste ore si parla di nuovi sbarchi a Lampedusa. Come ce la caviamo?
Il problema adesso è maggiore perché l’estate è arrivata e la tregua che c’è stata a maggio, quando si sono registrati meno sbarchi, è già finita. A giugno gli arrivi stanno nuovamente aumentando e questo fa presagire un’estate molto calda. Ricordiamoci che navighiamo già su dati estremamente più alti rispetto a quelli dello scorso anno: a giugno 2022 erano sbarcati in Italia 25mila migranti, ora siamo già oltre i 60mila. Questo dà un po’ la cifra della situazione.
Cosa potrà fare adesso l’Italia?
Probabilmente l’Italia proverà a muoversi da sola: visto che l’Ue appoggia l’azione verso i Paesi terzi, cercherà di premere ancora di più sulla Tunisia, in attesa del memorandum che dovrebbe essere firmato lunedì con Tunisi. Tenterà di agire in solitaria, a livello politico, con Tunisia e Libia, per limitare quanto più possibile con gli sbarchi. A livello europeo bisognerà vedere cosa farà la Spagna durante la sua presidenza, tenendo conto del fatto che si vota e che lì, dopo il voto, si attendono anche mesi per formare un governo. Potremmo avere un semestre senza un esecutivo in carica, e quindi molto debole anche come azione a livello europeo. Resta la possibilità che si debba rimandare tutto al 2024.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.