Tra stadi arcobaleno, giocatori inginocchiati, Ddl Zan difesi a spada tratta e “fatwe” per chi non si “allinea” al politicamente corretto, c’è una vicenda che va avanti da oltre un anno in Francia e che non vede sfondare l’omertà dell’opinione pubblica nel nostro Paese ma anche nel resto d’Europa: per la 17enne Mila Orriols che vive da un anno sotto scorta per aver “osato” nel gennaio 2020 in una story su Instagram insultare la religione islamica, a seguito di un attacco ricevuto a sua volta. Più di 100mila minacce giunte in pochi mesi, un processo divenuto “caso nazionale” e una storia nata come ve ne sono tante altre (anche più tragiche, come dimostra l’orrendo omicidio del professor Paty a Parigi): «Un ragazzo ha iniziato a chiamarmi sporca lesbica, razzista. L’argomento è scivolato sulla religione e ho detto cosa ne pensavo. “La tua religione è una mer*a” gli ho detto. Mi dispiace, non volevo offendere. Ho parlato troppo velocemente. L’errore è umano», così raccontava Mila solo un anno e mezzo fa.



Nonostante sia dichiaratamente lesbica e convinta attivista dei diritti LGBTQ la vicenda di questa liceale non ha sfondato media e social di tutta Europa: una fascia da capitano color arcobaleno del Capitano della Germania (Manuel Neuer, ndr) porta quasi uno scontro diplomatico tra Ue e Ungheria e un Parlamento Europeo agghindato con i colori arcobaleno, ma per Mila un silenzio assordante e omertoso. Il motivo? È semplice, come dice oggi al “Foglio” la fondatrice dell’associazione femminista #JamaisSansElles Tatiana F-Salomon: «nessuno difende Mila per paura di offendere non si sa quale minoranza». Nello specifico, a parte il caso isolato di questa femminista e qualche membro della Chiesa Cattolica francese, nessuno si è esposto per condannare le minacce provenute da centinaia di migliaia di musulmani.



LA DENUNCIA DELLA FEMMINISTA ALLA ‘GOGNA’ IN FRANCIA

«No Mila, non sei sola, anche se, certamente, la paura esiste. Non si tratta di negarla. Paura per noi, paura per i nostri cari, paura per tutto. Ma c’è una paura che dovrebbe terrorizzarci ancora di più: è la paura di tradire se stessi, la paura di tradire i nostri valori, i nostri ideali, la nostra umanità», così scriveva F-Salomon qualche giorno fa sul settimanale Le Point per provare a rompere il silenzio indegno attorno a questa vicenda. All’appello hanno aderito anche lo scrittore Alexandre Jardin e l’eurodeputata Irène Tolleret, ma ancora il consesso rimane prevalentemente francese e qui in Italia in pochi ce ne siamo occupati fin dall’inizio della polemica. «È indegno come hanno trattato Mila», lamenta l’attivista, «poco importa le sue affermazioni sull’Islam e del modo in cui le ha esternate. Le libertà che la legge riconosce ai cittadini devono essere rispettate». Per F-Salomon, se non si difende oggi Mila e la sua storia, «se accettiamo l’intimidazione di massa e di conseguenza la sottomissione», è la vera fine «del nostro contratto sociale. La nostra Repubblica fondata su valori umanistici». Interessante il passaggio dove la femminista, accusando il silenzio totale anche della sua stessa componente politica e identitaria, rileva come oggi l’universalismo e la libertà ultima di espressione vengono visti come un “rischio”: «così si rinchiude ogni cittadino in una presunta identità, dalla quale gli viene intimato di non uscire mai». Secondo la fondatrice dell’associazione “JamaisSansElles”, se si perde di vista l’universale e i valori comuni finisce che ognuno si rinchiude nella propria identità e chi ne rimane fuori – come Mila – viene tranquillamente accusata e minacciata. Lapidario il giudizio sulle “origini” di questa assurda vicenda culturale e sociale che il caso di Mila mette a nudo: «è un esempio tragico di frammentazione della nostra società […] è evidente in Francia ci sia un problema con l’Islam, legato al nostro passato coloniale, ma non solo. L’universalismo mal interpretato può rapidamente diventare relativismo radicale. Ma non tutto si equivale, altrimenti nulla ha più valore».

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