È MORTO MILAN KUNDERA, IL GRANDE ROMANZIERE ESILIATO DALLA CECOSLOVACCHIA COMUNISTA

Milan Kundera è morto all’età di 94 anni: l’annuncio arriva dalla Repubblica Ceca, la sua patria natia che pure lo ha esiliato per oltre 40 anni nel pieno del regime comunista sovietico. Il grande scrittore de “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, “Joke” e “Amori ridicoli” era nato il 1 aprile 1929 e passò da giovane tutte le passioni culturali artistiche, dalla musica alla poesia fino alle riviste letterarie. Nel 1948 la sua iscrizione al Partito comunista, ma durò solo due anni, a causa di alcune critiche da lui espresse alla politica culturale della Cecoslovacchia comunista, ne fu espulso salvo poi essere riammesso nel 1956.



Punto di riferimento culturale in tutta Europa, Milan Kundera nel ’68 si schierò apertamente per la “Primavera di Praga” – il movimento che tentò la liberazione dal giogo della dittatura sovietica, represso dai carroarmati URSS nel pieno della Guerra Fredda – e per questo venne espulso dal partito ed esiliato dal suo Paese. Nel 1975 emigrò in Francia, ove ha insegnato alle università di Rennes e di Parigi: proprio in Francia viveva ancora oggi con la moglie Vera Hrabanková. Addirittura nel 1979 tolsero a Kundera la cittadinanza ceca e nell’81 venne “adottato” dalla Francia per volere del presidente François Mitterrand.



CHI ERA MILAN KUNDERA E PERCHÈ HA “SCARDINATO” IL POTERE SENZA MAI PRENDERE IL NOBEL

È proprio dopo la Primavera di Praga che Milan Kundera – morto oggi a 94 anni dopo una lunghissima esistenza all’insegna della lotta per la libertà del pensiero contro l’ingabbiamento del potere – venne di fatto “squalificato” come cittadino e come pensatore dalla Cecoslovacchia, la sua terra natia. Dato che le opere venivano proibite in patria, Kundera iniziò a scrivere anche in francese e non concesse più i diritti di traduzione in lingua ceca: una forma di protesta che non piacque a Praga dove anche negli ambienti del dissenso si criticava la scelta di Milan Kundera. Nel 1984 quando pubblicò il capolavoro di una vita, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, non vi fu alcuna traduzione nella sua lingua madre fino almeno al 2006: diede a quel punto il permesso di pubblicazione del romanzo anche nella Repubblica Ceca, tramite un’edizione anastatica di quella pubblicata in ceco a Toronto già nel 1985.



Al compire 90 anni lo scorso dicembre 2019 la Repubblica Ceca ha ufficialmente riammesso Milan Kundera come loro concittadino: fuggito perché perseguitato dal regime, l’autore è vissuto 40 anni lontano dalla patria, osteggiato e criticato. La restituzione della cittadinanza a Kundera era stata approvata dal governo ceco nel novembre 2019, a sua volta seguita all’incontro, a Parigi, con l’allora capo del governo della Repubblica Ceca Andrej Babis. Snobbato per anni dal Premio Nobel in quella che l’autore Alain Finkielkraut descrive come una “giuria woke ante-litteram”, Milan Kundera è stato esaltato per le sue opere ma allo stesso tempo trattato come “reietto” per aver apertamente sfidato l’ideologia comunista. Appoggiò in toto la Primavera di Praga per una nuova cultura libera e non più soggiogante l’essere umano: per questo però fu prima costretto ad abbandonare il suo lavoro di docente e poi successivamente, nel 1970, espulso dal partito. Le sue opere furono vietate in patria ma attenzione, anche ben dopo la caduta dell’Unione Sovietica.

In una storica intervista pubblicata dal New You Times nel 1985, Milan Kundera dimostrò tutto il suo “insostenibile e leggero essere liberato”, una genialità tale che soffriva le mancate libertà dei tempi moderni ideologici, anche dopo la caduta di lì a poco del Muro di Berlino: sul tema dell’oppressione-censura ad arte e letteratura si esprimeva così, «E l’oppressione politica si presenta ancora con un altro pericolo che – specie per un romanziere – è anche peggio della censura e della polizia. Voglio dire: il moralismo. L’oppressione crea un confine fin troppo chiaro tra bene e male e allo scrittore viene la tentazione di mettersi a predicare. Per il genere umano è attraente, per la letteratura mortale. Hermann Broch, il romanziere austriaco che amo di più, ha detto “L’unica moralità dello scrittore è la conoscenza”. Ha ragion d’essere solo un lavoro letterario che riveli un frammento sconosciuto di esistenza umana. Scrivere non è predicare una verità. È scoprirla».