Aveva 4 anni, non era stato in Cina e non aveva familiari che provenivano da viaggi in Oriente, eppure è risultato positivo al Covid-19: si penserà che in effetti è molto rara la positività al coronavirus di un bambino così piccolo. Ecco, la rarità si allarga ulteriormente quando si scopre che questo avveniva a Milano nel novembre 2019, tre mesi prima della pandemia esplosa in Italia con il presunto “paziente 0”, Mattia il 38enne di Codogno (positività scoperta il 20 febbraio 2020): uno studio pubblicato oggi dell’Università Statale di Milano sulla rivista ‘Emerging Infectious Diseases’ racconta nel dettaglio la storia che rischia di scoperchiare ulteriormente le ben poche certezze che già c’erano sull’origine dei contagi da Covid in Italia e nel resto del mondo. Già erano emersi negli scorsi mesi alcune prove dell’Istituto Tumori di Milano circa la presenza di potenziali casi di coronavirus tra novembre e dicembre 2019, ma ora si ha la certezza: sintomi come la tosse già dal 21 novembre, tampone effettuato per verificare un’eventuale positività al morbillo, si scopre oggi che invece quel test aveva già evidenziato il contagio da Sars-CoV-2. Il Laboratorio subnazionale accreditato Oms per la sorveglianza di morbillo e rosolia (il Crc EpiSoMI ‘Epidemiologia e sorveglianza molecolare delle infezioni’) dell’Università milanese assieme al presidente del Comitato di direzione della Facoltà di medicina e chirurgia (Gian Vincenzo Zuccotti) hanno firmato lo studio coordinato dalle ricercatrici Elisabetta Tanzi e Silvia Bianchi: «presenza di Rna di Sars-CoV-2 in un tampone oro-faringeo raccolto da un bambino di Milano all’inizio di dicembre 2019».



LO STUDIO SUL BIMBO DI MILANO

La tesi dello studio è quella di aver indagato retrospettivamente tutti i casi di malattia esantematica identificati a Milano dalla rete di sorveglianza del morbillo (settembre 2019-febbraio 2020), risultati poi negativi all’epidemia di rosolia o morbillo stesso: «L’infezione da Sars-CoV-2 può infatti dar luogo a sindrome Kawasaki-like e a manifestazioni cutanee, spesso comuni ad altre infezioni virali, come il morbillo», spiegano i ricercatori nell’informare circa i motivi iniziali di questo studio “rivoluzionario”. Il potenziale nuovo “paziente 1” italiano vive in provincia di Milano ma ancora non sono state date generalità sulla sua famiglia (se di nazionalità cinese o se comunque con legami con la comunità cinese). «Il 21 novembre mostra tosse e rinite, circa una settimana dopo, 30 novembre, viene portato al pronto soccorso con sintomi respiratori e vomito. L’1 dicembre sviluppa un’eruzione cutanea simile al morbillo; il 5 dicembre (14 giorni dopo la comparsa dei sintomi), viene sottoposto a tampone orofaringeo per la diagnosi clinica di sospetto morbillo», ricostruiscono i ricercatori sulla rivista scientifica. L’analisi poi svolta negli ultimi mesi ha mostrato il 100% di identicità alla sequenza di riferimento Wuhan-Hu-1 e anche di altri casi Sars-CoV-2: «Un sistema di sorveglianza virologica sensibile e di qualità è uno strumento fondamentale per identificare tempestivamente i patogeni emergenti e per monitorare l’evolversi dei focolai in una popolazione — spiega al Corriere della Sera Antonella Amendola, responsabile dell’attività di sorveglianza del morbillo nel Laboratorio MoRoNET —. I risultati dello studio forniscono indicazioni sui futuri sforzi da mettere in atto per il controllo delle malattie infettive e sulla necessità di implementare la sorveglianza virologica a livello territoriale come strategia prioritaria per un’adeguata risposta alle emergenze pandemiche».

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