Milano si prepara per il manager di quartiere: 88 persone, una per ogni area della città, in grado di interpretare i bisogni della propria via e di farsi ascoltare ai piani alti di Palazzo Marino. Mentre nell’Inghilterra di David Cameron la parola Big Society è ancora soltanto uno slogan, nel capoluogo lombardo è già tutto scritto nero su bianco. E aspetta solo l’approvazione definitiva del Consiglio comunale, che come spiega a Ilsussidiario.net l’assessore all’Urbanistica, Carlo Masseroli, arriverà entro il prossimo 14 febbraio insieme al Piano di governo del territorio. All’interno del Pgt ci sarà infatti la vera e propria novità, il manager di quartiere, grazie a cui Lambrate, Greco, Quarto Oggiaro e le altre periferie milanesi potranno avere la stessa voce in capitolo di piazza della Scala e via Monte Napoleone.

Masseroli, quali saranno i compiti dei manager di quartiere?

Innanzitutto dovranno tenere vivo il nuovo sistema che abbiamo avviato in questi anni. Il mio assessorato ha infatti suddiviso Milano in 88 quartieri, incontrando chi ci vive e analizzando la situazione di ogni via e ogni piazza. Quella che abbiamo seguito è una modalità da Big Society: il progetto all’interno di ciascun quartiere sarà portato avanti da chi ci vive. Quindi i manager di quartiere non saranno persone della Pubblica amministrazione, ma semplici residenti o consiglieri di zona. Trasformandoli nelle «antenne» del Comune sul territorio, con una decentralizzazione del potere intesa come capacità di sostenere delle presenze in atto.

Ma riuscirete ad approvare il Pgt entro la fine della legislatura?

Sì, lo voteremo entro il 14 febbraio. Lo prevede la legge regionale, non farlo significherebbe non rispettare la legge e comporterebbe il decadere dell’attuale Pgt. Chi dovesse creare le condizioni perché non si rispetti la scadenza, ne pagherà le conseguenze al momento del voto davanti ai cittadini, da parte dei quali c’è un forte consenso nei confronti del nuovo Piano.

Davvero è qualcosa di così sentito?

 

Sì, perché ne va dei servizi che saranno offerti ai milanesi nei quartieri dove vivono. Con il nuovo Pgt la città passerà da un’impostazione centralista e burocratica a una sussidiaria e in piena sintonia con la Big Society. Il Pgt per la prima volta intreccia sviluppo della città e presenza dei servizi. Supportando qualsiasi privato in grado di offrire un servizio a tutta la comunità, come asili nido, scuole, negozi di vicinato, con la destinazione di spazi privati gratuiti.

 

 

E come farete a decidere a quali soggetti destinarli?

 

Sulla base delle necessità che ci saranno state indicate come prioritarie dagli stessi cittadini, sulla base di valutazioni statistiche, interviste e incontri continui i cui risultati saranno resi pubblici. Fino a oggi la scelta dei servizi era abbastanza casuale e avveniva mettendo a gara gli spazi disponibili. Con il risultato che magari i cittadini avevano bisogno di un asilo nido, e invece si trovavano una cosa completamente diversa. Perché quello che contava era la capacità di vincere le gare pubbliche, e basta.

 

 

E al posto delle gare che sistema introdurrete?

 

Quello degli accreditamenti. Con il nuovo Pgt chi realizza l’intervento urbanistico sceglie, sulla base dei bisogni espressi dai cittadini, chi può gestire quei servizi tra le varie realtà accreditate in quel settore. L’operatore privato coinvolge un altro operatore privato per progettare e realizzare insieme un determinato servizio.

 

 

E il ruolo del Comune qual è?

 

Si limita a controllare che tutto avvenga secondo criteri di trasparenza, e che i costruttori concedano gratis gli spazi a chi offre i servizi.

 

 

E qual è il valore di questo nuovo metodo?

 

Fare vedere che è possibile fare, e che questo può fare crescere un sistema di fiducia. Le vecchie regole sono tutte scritte sul presupposto che ogni interesse privato è cattivo. Il nuovo Pgt le riscrive partendo dall’ipotesi che l’interesse del privato è qualcosa da guardare con grande disponibilità e positività.

 

 

Tra pochi mesi a Milano si vota per il sindaco. Riusciremo a sostituire i vecchi slogan con un’idea veramente innovativa, sul modello di quanto fatto da Cameron in Inghilterra con la Big Society?

 

Questo sta già avvenendo. Basti pensare al convegno del 13 dicembre scorso in Università cattolica, dedicato appunto alla Big Society, cui hanno partecipato l’economista Stefano Zamagni, il presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini, l’esperto inglese Phillip Blond e Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà. Diversi attori da diversi percorsi hanno raccolto sfida legata a questo tema, leggendovi la possibilità di un cambiamento epocale. Perché una campagna elettorale sia credibile, non basta però né citare dei numeri né inventarsi delle idee. Occorre sperimentare, continuare a provare, rischiare rispetto a un’ipotesi culturale che deve scardinare un sistema invecchiato. Ma anche le idee nuove, fino a quando non hanno inciso sulla realtà, rischiano di essere deboli.

 

 

Che cosa ne pensa dell’ultimo rapporto Censis, che cita come vera causa della crisi in Italia un appiattimento del desiderio?

 

E’ un giudizio interessante. Non è un caso che tutte le leggi italiane siano fatte in modo tale da bloccare il desiderio dei cittadini nelle forme in cui si esprime naturalmente. Le regole pubbliche guardano tutte con sospetto queste espressioni, tarpando il desiderio all’origine, e quindi l’iniziativa privata non riesce mai a svilupparsi come potrebbe. L’iniziativa privata invece è degna di grande attenzione, in quanto espressione di ciò a cui tende la persona. Lo ha ricordato anche l’arcivescovo Dionigi Tettamanzi, sottolineando giustamente la grande tradizione di Milano, che è sempre stata molto ricca di presenze significative nonostante la sfiducia nei loro confronti dimostrata in passato dalla politica.

 

(Pietro Vernizzi)