«Giuliano Pisapia ha venduto un sogno alla città, e non appena si scontrerà con i problemi di tutti i giorni si capirà che le sue promesse sono irrealizzabili. Ma ha avuto il merito di ritornare a una politica fatta di ideali e di difesa del bene comune, e non soltanto di interessi di una parte. E’ proprio da qui che deve ripartire il centrodestra». Ad affermarlo è Carlo Masseroli, rieletto consigliere del Comune di Milano, dopo essere stato per cinque anni assessore all’Urbanistica e avere firmato il Pgt. Intervistato da Ilsussidiario.net, spiega i suoi obiettivi per i prossimi cinque anni: «La mia opposizione non sarà né aggressiva né scontata, per evitare che il centrosinistra si arrocchi su se stesso e per favorire l’emergere delle sue contraddizioni».
Masseroli, la sconfitta di Milano assume proporzioni storiche…
Ciò che conta non sono tanto le statistiche sulla vittoria di Pisapia, ma innanzitutto il fatto che al suo ingresso a Palazzo Marino tantissima gente è andata ad applaudirlo e a stringergli la mano. E’ un segno del fatto che la campagna elettorale ha riappassionato a un’ipotesi di utilità della politica molte persone che non hanno nessuna tessera di partito e che erano disilluse. Questo è un fatto non banale, e che anche noi che guardiamo la città da un altro punto di vista non possiamo sottovalutare. Tantissimi milanesi hanno scelto Pisapia, ma soprattutto lo hanno fatto con molta più passione di quelli che hanno confermato la fiducia alla Moratti. L’ex sindaco lascia una città con i conti a posto, con i lavori avviati per due nuove metropolitane, con un piano di sviluppo (il Pgt) e con l’Expo che si terrà nel 2015.
Eppure tutto questo non è bastato per vincere le elezioni. Perché secondo lei?
Perché il centrodestra deve essere capace di riportare una dimensione ideale al centro della politica, senza di cui non ci potrà essere nessuno che si appassiona a ciò che proponiamo. Occorre riscoprire la politica come difesa del bene comune e non come interesse di pochi. Ciò che ha fatto vincere Pisapia sono state infatti la sua mitezza e l’apertura con cui si è mosso. Mentre ciò che ha portato il centrodestra a perdere sono state le vicende degli ultimi mesi e anni, da quelle che hanno coinvolto il presidente del consiglio Berlusconi alla non simpatia della Moratti, e a tutte quelle che hanno influenzato la percezione delle nostre posizioni politiche. Io sono convinto che la politica debba avere come scopo il bene comune, ed è proprio a questo livello che la nostra impostazione nel lungo periodo si rivelerà vincente.
Ma a livello di contenuti, che cosa ha fatto sì che Pisapia risultasse più convincente?
Quello di Pisapia è stato un racconto senza grandi connotati, ma che ha fatto intravvedere un sogno. I milanesi si sono convinti del fatto che quest’uomo, pur non avendo ancora formulato delle proposte chiare, può aiutare tutti a vivere meglio in questa città. Pisapia è stato bravissimo ad associare questo sentimento a un colore e a una immaginazione generica. Con il tempo si capirà che è una proposta vuota e ideologica, ma non è banale vedere per la città le bandierine arancioni legate sopra le strade da un balcone all’altro: vuole dire che la gente che abita in quelle vie si è parlata, ha trovato un motivo di interesse, si è detta: «Ci sto, do un pezzo del mio balcone». Per il centrodestra questo non succede più da almeno qualche anno.
Nei suoi progetti c’è un’opposizione dura o un atteggiamento costruttivo?
Certamente farò opposizione, ma non nascerà da un percorso ideologico. Sarò quindi costruttivo ogni volta che la maggioranza proporrà percorsi che aiutano la città. Non penso che la contrapposizione fine a se stessa possa aiutare né Milano né la credibilità politica del centrodestra. Inoltre l’opposizione propositiva è la forma più efficace per costruire nel futuro un’alternativa di governo. Le contraddizioni della maggioranza emergeranno molto in fretta, ma se dovessimo optare per un’opposizione dura, le ragioni ideologiche porterebbero il centrosinistra ad arroccarsi su se stesso.
Come valuta le promesse di Boeri, secondo cui la giunta manterrà gli aspetti positivi del Pgt, permettendone l’attuazione e avviando nel frattempo alcune modifiche?
In realtà per la maggioranza ora si apre un bivio. Il nostro Pgt infatti è intriso di una mentalità cattolico-liberale, che parte dalla fiducia nell’iniziativa del singolo. La posizione del centrosinistra è invece più dirigista. Se quindi la nuova giunta è onesta da un punto di vista intellettuale, non dovrebbe depositare il nostro Piano bensì rifarlo da capo. Le loro critiche negli ultimi anni hanno toccato infatti un livello radicale del Piano. O quindi hanno cambiato idea culturalmente e nel merito delle singole scelte, oppure il Pgt non sarà applicabile. Non è quindi una questione di lana caprina o di contraddittorio politico, ma di sostanza. Inoltre, se il centrosinistra deposita il Piano si aprono dei problemi non secondari.
In che senso?
Da quel momento in poi sono assegnati ai privati tutti i diritti previsti nel documento, a partire da quelli edificatori che consentono di costruire in alcune aree. Se di qui a due anni il centrosinistra dovesse decidere di ridurre quei diritti, come del resto ha già annunciato di voler fare, il proprietario delle aree ricorrerà senz’altro al Tar. Proprio per questo, le promesse di Boeri sono una favola che non corrisponde alla realtà.
Il 12 e 13 giugno si voterà anche per alcuni referendum validi solo per Milano. Qual è la sua posizione?
Il più dibattuto è quello che afferma che tutte le aree in trasformazione devono avere il 50% di verde. Piacerebbe anche a noi, peccato che sia una proposta economicamente non sostenibile. Il centrosinistra del resto ora ha in mano la decisione sul Piano del territorio, su cui verte proprio il referendum. Se quindi Boeri dice la verità, perché non cancella i referendum introducendo al loro posto delle modifiche del Piano? La risposta è semplice: perché lo stesso Boeri sa bene che non è sostenibile ciò che i referendum ipotizzano. Ma questo vale per tutto il programma di Pisapia: quando si passa dall’ipotesi di massima alla realizzabilità, l’incontro con la realtà dimostra che quell’ipotesi non è sostenibile.
(Pietro Vernizzi)