Per trarre ispirazione, la Giunta meneghina guarda oltreoceano. Da presidente, Bill Clinton introdusse lo “spending review”, un approccio di gestione del bilancio dove i capitoli di spesa venivano redatti ignorando la spesa storica e considerando le effettive impellenze. A Palazzo Marino ci riprovano. Il capogruppo del Pdl in Comune, Carlo Masseroli, capogruppo del Pdl in Comune, è perplesso e, raggiunto da ilSussidiario.net sulla questione, afferma: «credo che si tratti di una manovra comunicativa per convincere i cittadini milanesi della necessità di nuovi aumenti». In ogni caso, le voci su cui la replica dello schema Clinton consentirebbero di lavorare al risparmio, ammonterebbero a 600 milioni di euro. Almeno, secondo i calcoli dell’assessore al Bilancio Bruno Tabacci. Al nuovo approccio si affiancano tagli su tagli; da un lato il governo, con quelli agli enti locali, dall’altro ciascun assessore, tenuto a sfoltire ove possibile.

«Ho l’impressione – è l’opinione di Masseroli sullo spending review – che raffiguri il tentativo di dare una presentazione enfatica ad un approccio culturale di bilancio poco condivisibile». Di per sé, affrontarlo secondo un’ottica diversa, non è detto che sia un male. «Ma il ragionamento da farsi è di carattere culturale – specifica Masseroli -. Nella situazione di adesso, e alla luce dei tagli, il vecchio modello non è più utilizzabile. Mi riferisco a quello in base al quale l’ente locale, per fornire servizi raccoglie soldi attraverso trasferimenti dallo Stato, dalla Regione e attraverso la tassazione ai cittadini». Il perché sia ormai anacronistico è presto detto: «non tiene conto della libera espressione dei cittadini che si riuniscono generando corpi intermedi». In sostanza, «non c’è alcun bisogno di imbellettare i conti, quanto di una vera riforma degli enti locali. Milano deve essere la prima città a livello nazionale ad effettuarla». Il capogruppo illustra la sua proposta: «il modello in cui l’ente locale è il soggetto che raccoglie fondi e li spende per i servizi, non è più sostenibile economicamente e culturalmente; deve trasformasi in un soggetto che indirizzi, controlli e sostenga le iniziative provenienti dal basso. Riducendo i costi e la burocrazia, e aumentando l’efficacia dei servizi; la riforma che lo scenario attuale ci impone consiste nel liberalismo municipale, che lasci i soldi nelle tasche dei cittadini per non livellare la loro capacità di spesa e dar così una mano alla recessione».

Un esempio molto concreto di un tale approccio proviene dall’Inghilterra dove, «in un paesino di provincia è stato riaperto un pub, che rappresentava un riferimento per la comunità. Una cooperativa ha messo in piedi una banca e finanziato la sua riapertura, arrivando ad una gestione colletiva». Lì, l’amministrazione locale non ha sborsato un penny per fornire servizi, «ma ha destinato fondi a chi ha investito su se stesso, con conseguenze positive sul territorio». Tornando a Milano: secondo Masseroli, «qualcosa non quadra. Si prevede un piano di tagli e risparmio e si aumentano tasse e oboli di varia natura. L’introduzione dell’addizionale Irpef, l’aumento dell’Ecopass, del biglietto dell’autobus e della Tarsu fanno comprendere come i criteri adottati dal Comune siano sempre gli stessi, altro che spending review. Ovvero: raccogliamo fondi per fare spesa. Il Comune – conclude – non può più rappresentare, come in passato, un elefantiaco soggetto che spende, ma deve liberare energie riducendo la burocrazia e consentendo alle persone di sostenere le proprie iniziativa».  

 

(Paolo Nessi)