L’Expo 2015 è un’occasione importante di visibilità e prestigio internazionale dell’Italia. Ma ha una portata ancor più vasta – direi quasi storica – per la Lombardia e in particolare per Milano, per il nostro tessuto economico e sociale.
Le ricadute economiche e di assetto del territorio dell’Expo sono naturalmente la prima cosa che balza all’occhio. L’Expo può essere l’occasione per consolidare il rinascimento urbanistico e funzionale della città, con un progetto di grande respiro, che reinventa una vasta area semiperiferica della Milano postindustriale; per investire risorse in modo intelligente, in strutture che mantengano la loro utilità pubblica anche quando l’evento sarà stato archiviato (le Olimpiadi invernali di Torino insegnano), e per realizzare importanti interventi infrastrutturali sulla mobilità, la cui portata va ben oltre il bacino milanese. E poi, ovviamente, c’è l’indotto, direttamente determinato da investimenti stimati in oltre 4 miliardi di euro (solo per la realizzazione delle infrastrutture espositive e per il budget operativo dell’Expo) e dal previsto afflusso di 30 milioni di visitatori.
Questa dimensione economica è inevitabilmente la prima a cui si pensa. Ed è oggettivamente molto significativa. Non vorrei però che diventasse assoluta, oscurando altri aspetti che a mio modo di vedere sono non meno importanti. Credo infatti che sarebbe un po’ troppo riduttiva e ingenerosa una lettura che interpretasse l’Expo come il piano Marshall del 2015 per Milano. Di piani Marshall – per fortuna – non abbiamo più bisogno.
Qual è allora il reale valore dell’Expo? È un valore di catalizzatore efficacissimo, intorno ad un progetto importante e condiviso, delle forze più dinamiche e vitali della società civile. E di questo noi abbiamo bisogno.
È il valore di un’iniziativa che ha un forte contenuto di solidarietà fra i popoli per la promozione di un modello di sviluppo sostenibile. Come ha giustamente sottolineato il sindaco Moratti, l’Esposizione Universale che abbiamo proposto non è stata pensata per noi, ma per tutti. Vorrei per un attimo ampliare l’orizzonte. Non dico alcunché di originale se ricordo che viviamo in un’epoca di transizione, con tutti i dubbi e le crisi – anche morali e progettuali – che fasi storiche come questa portano con sé.
Non può stupire se nella società prende piede un senso di smarrimento, a maggior ragione in una realtà avanzata come la nostra, che proprio per questa sua natura peculiare è più sensibile al cambiamento.
E qui torna in scena l’Expo. Cosa c’entra? Naturalmente nulla, se si pensa a una qualche chiave risolutiva dei problemi giganteschi che abbiamo di fronte. Ma c’entra, se si pensa che non esiste possibilità di soluzione di un problema, grande o piccolo che sia, se manca a monte un atteggiamento positivo e propositivo, la voglia di fare un lavoro di squadra mettendo a fattor comune il meglio che ognuno, nel suo ambito, sa esprimere, per costruire un futuro migliore. E proprio questo è il significato dell’Expo 2015, come Milano l’ha interpretato; dimostrare a noi stessi la capacità e la voglia di vincere una grande sfida, e di farlo pensando all’interesse di tutti. Già nella fase di lancio della candidatura milanese abbiamo riscoperto la capacità di lavorare insieme e abbiamo riacquisito la consapevolezza che nella società globale Milano si condannerà ad un ruolo marginale se non diventerà anch’essa globale, protagonista del grande dibattito contemporaneo sul futuro. Questa eredità dell’Expo va oltre le sue implicazioni economiche. Starà a noi non disperderla.



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