Un modello di collaborazione tra le forze del Paese

La conquista da parte di Milano dell’Expo 2015 è stato un momento esemplare di impegno del nostro Paese, la cui importanza è aumentata dal fatto che l’Italia, purtroppo, non è avvezza a grandi successi internazionali. Non avremmo vinto senza mettere insieme le nostre risorse. E tra di esse, fondamentale è stata la risorsa “Milano”: Milano come garanzia dell’organizzazione di un evento di grande livello; Milano come storia, tradizione, cultura; Milano intesa anche come capacità di una classe dirigente, che in modo non provinciale ha saputo partecipare a una competizione internazionale, sviluppando una diplomazia (che certamente ha avuto un peso molto importante) nel rapporto con gli altri Paesi, con le classi dirigenti, con i mondi imprenditoriali.
Ritengo però giusto ricordare che Milano non avrebbe vinto se non come candidatura italiana. L’Italia intera ha speso le sue risorse: le risorse di Paese membro del G7, e Paese membro, nella circostanza, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nelle sedi internazionali il consenso non si costruisce per acclamazioni o con un discorso. Il consenso è il punto di arrivo di un processo, e senza dubbio nella costruzione di questo consenso ha pesato anche la capacità sul piano politico. Ci siamo divisi il lavoro, dato che nelle decisioni di un governo contano anche le simpatie, i rapporti politici, le tradizionali collaborazioni. E abbiamo fatto una cosa che si fa di rado nel nostro Paese: anziché neutralizzarci a vicenda, ci siamo divisi virtuosamente i compiti. Abbiamo stabilito chi dovesse parlare con gli uni, e chi con gli altri, rendendo chiaro che non si tratta del successo di un Governo, ma si tratta di un’impresa del Paese.
Siamo andati a Parigi, qualcuno di noi interrompendo la campagna elettorale. Ed è abbastanza curioso andare a fare una campagna elettorale tutti insieme per il Paese e poi tornarsene per fare ciascuno la propria. Lo dico perché credo che sia una bella pagina di una vicenda politica che non ne ha moltissime, purtroppo, nel nostro Paese. 



La sfida con la Turchia: due strategie a confronto

Avevamo di fronte un competitore molto forte: Smirne, la Turchia, un grande Paese in crescita. Un Paese che offriva enormi opportunità di business. Fra l’altro era in una situazione specularmente complementare alla nostra: il governo turco, che potremo definire di centrodestra, o comunque conservatore, sosteneva la candidatura di una città come Smirne, che è storicamente la capitale politica della sinistra turca.
La Turchia ha giocato una partita estremamente dura e ben organizzata. Aveva una carta importante da giocare: c’era da fare tutto e quindi offriva enormi possibilità di business alle grandi imprese straniere. E infatti la Turchia ha conquistato il voto di molti Paesi forti; ma, fortunatamente, nelle sedi internazionali ogni voto conta “uno”. Di certo, se si fosse votato per numero di abitanti o per Pil, il risultato sarebbe stati probabilmente diverso.
Milano ha giocato un’altra carta, quella della collaborazione: costruire la proposta dell’Expo non come un evento, ma come un’offerta di collaborazione pluriennale di lavoro comune. Questo –  mentre la Turchia ha conquistato il consenso di Paesi ricchi – ci ha consentito di conquistare il consenso di molti Paesi poveri. Il consenso è stato costruito sulla base di una promessa, che ora  dobbiamo mantenere: costruire intorno all’esposizione universale un’esperienza di lavoro comune, di collaborazione, che porti vantaggio a questi Paesi.
E questo ci dice anche qualcosa su quello che bisogna fare adesso. Perché forse, nelle grandi aspettative che si sono suscitate, non c’è una piena consapevolezza del fatto che l’esposizione universale è una scommessa che può avere successo o può non averne. Ci sono straordinari esempi di giganteschi fallimenti nel corso degli ultimi anni: Paesi che hanno investito enormi risorse per preparare un evento in grado di ricevere 30 milioni di persone e ne hanno ricevute 2 milioni. E poi sono rimasti con i debiti. 



Recuperiamo il consenso dei Paesi che non hanno votato Milano

L’esposizione universale è una sfida. In una certa misura, il successo di questa sfida non dipende da noi, ma dipende da quanto il mondo investirà sull’esposizione universale di Milano. Diventano molto importanti, persino determinanti, alcuni di quei grandi Paesi che non hanno votato per noi, ma senza i quali è molto difficile pensare a un grande successo dell’esposizione universale di Milano. Faccio un esempio per tutti: la Cina. I cinesi erano talmente coinvolti nella candidatura turca, che avevano preso in gestione per i prossimi 50 anni il porto di Smirne.
Adesso occorre dispiegare una strategia molto complessa delle relazioni internazionali, perché non basta la costituency con cui abbiamo potuto vincere. Dobbiamo riuscire ad attrarre l’impegno di una vasta comunità internazionale. Con che modalità la Cina, ad esempio, deciderà di partecipare all’Expo di Milano? Certo molto dipenderà dalla nostra offerta, ma anche dal modo in cui si costruirà intorno a questo evento una campagna internazionale che non è finita nel voto di Parigi. Adesso comincia una seconda campagna internazionale, finalizzata a far sì che il mondo investa su Milano 2015. Il che richiede, a mio giudizio, di mantenere quella stessa compagine. Sarebbe un grande errore – ma non c’è aria di farlo, perché c’è un’impostazione intelligente di cui ho avuto modo di parlare con il Sindaco Moratti – se Milano dicesse: abbiamo lavorato insieme, abbiamo l’Expo e adesso è nostro. Non è così. Adesso bisogna che continuiamo a costruirlo insieme, perché questa è l’unica garanzia perché sia quel grande successo che può essere, quella grande opportunità per il nostro Paese. 



Verso il successo finale: come attrarre persone da tutto il mondo

Per evitare il fallimento, ora bisogna progettare bene questo evento: l’evento culturale, l’evento espositivo, e le tante iniziative che intorno a questo evento si svilupperanno. Io sono convinto che l’esposizione universale di Shangai sarà un grande successo, perché in un Paese come la Cina, in un continente come l’Asia, il mercato interno garantisce tanti milioni di persone, e la curiosità verso la novità di un grande evento internazionale saprà creare attrattiva. Ma l’Europa è vecchia, è stanca, è distratta, ha visto tutto. Non è facile attirare milioni di europei a Milano: Hannover ha fatto un bagno micidiale. Gli europei sono distratti, sono viziati. Siamo adulti e siamo ricchi. È difficile che ci sia un’ondata di curiosità che attiri. Per questo motivo dobbiamo riuscire ad avere un bacino mondiale. E se qualcuno si muoverà dalla Cina o dal Giappone per venire all’esposizione universale di Milano, è ragionevole che penserà anche di andare a Venezia, a Firenze. E ce li dobbiamo portare noi: il pacchetto degli eventi, avendo certamente al centro l’evento milanese che è il cuore (e qui Milano deve giocare un ruolo diciamo egemonico), deve dare anche un’offerta complessiva, che non è solo il fatto espositivo, ma è anche l’offerta turistica, culturale, costruita in rete con le altre grandi città italiane. Una grande opportunità questa per lavorare insieme, per superare certi conflitti localistici; e io sono convinto che Milano questo lo capisce e lo saprà fare al meglio.
Io vedo quindi queste due sfide. C’è una grande sfida internazionale, cioè conquistare i consensi di quelli che non ci hanno votato, fra i quali ci sono alcuni interlocutori decisivi per il successo dell’esposizione universale. Secondo, Milano deve saper lavorare in squadra con il resto del Paese e con le principali città italiane per costruire un’offerta in grado di attrarre nel nostro Paese milioni e milioni di persone.

L’importanza di Milano come ponte di comando

Io sono dunque convinto che si tratta di un’enorme opportunità per un Paese che appare a volte impaurito, sfiduciato, ripiegato su se stesso; una straordinaria occasione per mostrare le nostre qualità migliori. Si tratta di un tema cruciale, negli equilibri mondiali e questo è importante. Ma si tratta anche di qualcosa che è fondamentale per noi: è un grande fiore all’occhiello della nostra cultura, della nostra civiltà, della nostra economia. La ristorazione italiana è, dopo quella cinese, la più importante rete di ristorazione mondiale. Un marchio che spesso ci è stato portato via dagli altri: i canadesi sono i più grandi produttori di pizza. Comunque anche se questi brand italiani sono stati valorizzati da grandi imprese multinazionali, sempre nostri sono.
È un’enorme opportunità per il Paese; e siccome questa enorme opportunità per il Paese è nelle mani di Milano, dico che è in buone mani. Perché parliamo di una città e di un sistema forti. Ma io spero che voi siate consapevoli che avete nelle vostre mani un’opportunità non solo per voi, ma per il nostro Paese. E credo che il Paese, le sue classi dirigenti, debbano essere disponibili a dare una mano. Non ho dubbi che il ponte di comando deve essere qui, perché un evento di questo tipo non può essere organizzato da dieci generali. «Troppi galli a cantare e non si fece mai giorno», diceva mia madre. Il ponte di comando certamente deve essere qui, ma se non saranno coinvolte tutte le forze disponibili sarà più difficile avere successo.
Volevo quindi dire che sono qui non solo a celebrare un risultato importante, ma anche per dire che continuiamo ad essere disponibili a dare una mano a un’operazione che è soltanto all’inizio. Nella quale si può avere successo, ma non è scontato: e questo dipenderà da noi. 

La centralità del progetto culturale

Il progetto è stata una delle carte vincenti, per serietà e complessità. È evidente che l’esposizione è anche un grande fatto fisico, un luogo dove si mettono in mostra immagini e oggetti. È però anche un succedersi di eventi che avranno un significato politico: si affronterà in Italia uno dei grandi problemi dell’equilibrio umano, vale a dire la nutrizione, la lotta alla fame, il rapporto tra nuove tecnologie in campo energetico e soddisfacimento di bisogni umani fondamentali. C’è dunque la possibilità di creare eventi politico-culturali di grandissimo rilievo. Quindi occorre pensare all’Expo non solo come una mostra che si viene a visitare, ma, intorno a questo fatto fisico, un succedersi di eventi di rilievo, la cui realizzazione dipende da come noi sapremo offrire il nostro Paese e da quanto il mondo ci prenderà sul serio e verrà qui a dialogare con noi.
Credo che sia molto importante il fatto che a partire dalla campagna per conquistare l’Expo si siano messi in cantiere tanti progetti di cooperazione; il 2015 sarà l’occasione per raccontarli, e per raccontare una storia di collaborazione con vari Paesi, e ci auguriamo che sia una serie di successi e di promesse mantenute. Non c’è dubbio che in questa forma di cooperazione internazionale c’è tutta la nostra tradizione, la nostra storia di solidarietà: questo ha un indubbio valore reale e io penso che possa comportare un ritorno concreto per l’Italia.

Leggi anche

INCHIESTA/ Expo, quanti turisti stranieri sono arrivati in più in Lombardia?SPILLO/ Sull'Expo il sequestro statale di Renzi (e Sala)DOPO-EXPO 2015/ La grande occasione per il "Made in Italygreen"