Lo scontro è fra pubblico e privato, fra assessori regionali e comunali, fra agricoltori e imprenditori dell’edilizia. Il campo di battaglia è il Parco Sud, l’enorme polmone di 46mila ettari che circonda la periferia meridionale di Milano. Sede della “Città del Gusto” o di nuovi complessi residenziali: è questa la prospettiva che, a detta di molti, sembra minacciare questa zona agricola, più unica che rara in Italia e in Europa. Molti errori hanno compromesso l’area su più versanti, ecologico e ambientale, e altri sono in agguato.



Ma qual è ad oggi il valore e l’importanza del Parco Sud per Milano? Lo abbiamo chiesto all’architetto Gioia Gibelli, esperta di paesaggio ambientale e più volte chiamata in causa dalle istituzioni in ambito di recupero e valorizzazione del territorio.

 

Architetto Gibelli, perché occuparsi del Parco agricolo Sud Milano?



 

Se c’è una cosa indiscutibile è il fatto che Milano è diventata grande grazie al suo territorio. Lo dimostra un semplice excursus storico di come si è sviluppata la città e di come è cresciuto il territorio circostante. Questo perché in uno spazio relativamente ridotto si può usufruire di risorse straordinarie e direi quasi esclusive in tutto il mondo. Il Parco Sud è l’ultima parte, l’ultima rappresentanza di un territorio che ha reso grande e continua a mantenere tale Milano.

Milano cerca affannosamente una proiezione europea. Non è quella che potrebbe fare ancor più grande Milano?



Certo, si possono aggiungere fattori che si riallacciano alle più svariate teorie urbanistiche piuttosto che additare la vicinanza del capoluogo lombardo con l’Europa. Però consideriamo anche che sulla linea Torino-Venezia c’è una serie di localizzazioni che avrebbero potuto ospitare città altrettanto grandi come Milano, se il problema fosse stato solo riconducibile alla vicinanza con l’Europa.

Quali sono dunque gli aspetti che rendono così eccezionale il territorio del Parco Sud?

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Il Parco Sud dispone di una terra straordinariamente fertile, che consente la produzione di eccellenze agroalimentari, come avviene nella maggior parte della pianura Padana. Ma la differenza la fa la presenza dei fontanili (Fontanile Nuovo, Sorgenti della Muzzetta, Oasi di Lacchiarella, Fontanili di Bareggio, Parco dell’Addetta) e dei grandi corsi d’acqua presenti. Questo “cocktail” fra terreno padano e abbondanza d’acqua rende il Parco Sud una delle zone migliori al mondo per qualità di terreno fertile. Possiamo quindi capire come il Parco Sud rappresenti una risorsa utilissima per l’economia lombarda.

 

D’accordo, ma rimane un parco. L’aspetto naturalistico non è quello preponderante?

 

Si possono anche lasciar perdere le questioni paesaggistiche, che pure sono molto importanti, e di “serbatoio”, di valvola di sfogo per Milano. Bastano solo i dati scientifici a conforto della grande fertilità del Parco Sud per certificarne lo straordinario valore. Se a questo aggiungiamo poi tutto il patrimonio storico culturale che è presente nel territorio in questione salta fuori la fotografia di un’area che per moltissimi versi è unica al mondo.

 

Quali sono a suo avviso le maggiori urgenze per la salvaguardia del territorio del Parco?

 

Ce n’è una fondamentale: dare agli agricoltori la garanzia del suolo. Da questa derivano tutte le altre condizioni per un giusto impiego del territorio. Il Parco Sud vive nel momento in cui vive l’agricoltura milanese e viceversa. Peraltro parliamo di un’agricoltura di grandissima qualità, che rappresenta un’eccellenza nazionale da un punto di vista tecnologico e della conduzione delle aziende. E si tratta di aziende agricole che sono riuscite a sopravvivere davanti a un colosso come Milano, il che significa che hanno saputo fornire un’enorme offerta sia di prodotto sia di altri tipi di servizi alla città, sennò sarebbero già “morte”. In poche parole tutto lo straordinario contesto è derivato da un solo elemento: la sopravvivenza dell’agricoltura. 

 

Milano dunque è ancora una città agricola?

 

Altroché. Bisogna tener presente che le produzioni agricole stanno calando a livello di statistica mondiale a fronte di una crescita esponenziale della popolazione. Quindi anche dal punto di vista strategico, politico e nazionale è importante tenersi una “fetta” di prodotto alimentare e di risorsa d’acqua. Riso, foraggio, mais, le colture finalizzate alla zootecnia, il latte, i latticini generati dalle attività agrotecniche del Parco Sud sono fra i migliori prodotti mondiali. Posso capire che il Parco Sud sia anche visto come un serbatoio per costruire, a condizioni che la città di Milano non può contemplare più. Ma occorre costruire con criterio.

 

Quali regole occorrerebbe rispettare?

 

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Serve un criterio culturale. La pura speculazione, la costruzione ai soli fini abitativi sarebbe il peggior danno inferto al territorio del Parco Sud. C’è un patrimonio architettonico che risiede nelle cascine e che può essere recuperato senza andare a rubare nuova terra, facendo però attenzione che all’interno delle cascine si continuino a svolgere attività che non vadano in conflitto con le istanze  agricole, perché questa è una minaccia altrettanto forte. L’agricoltura ha bisogno di un sostegno circostante. Bisogna concepire l’utilizzo degli spazi abitativi in armonia con la dimensione agricola, non si possono trasformare le cascine in ambienti nei quali la gente arriva, dorme e se ne va: il declino sarebbe dietro l’angolo.

 

L’offerta dell’area del Parco Sud dovrebbero interessare anche il settore turistico?

 

Assolutamente. Ora si parla di aziende agricole “multifunzionali”. Il ruolo dell’azienda cioè non è più relegato alla mera produzione, ma dovrebbe essere anche dare la possibilità di “fare cultura”, pensiamo alla ricchezza del paesaggio, alla ristorazione, alla ricettività, e soprattutto ai luoghi. Un esempio per tutti è l’Abazia di Chiaravalle, ma le abazie sono moltissime, c’è anche Morimondo, ci sono cascine storiche, risalenti al ’600 e prima, c’è il Castello di Cusago, anche se oramai è inglobato purtroppo in una vergognosa colata di cemento.

 

E dal punto di vista ecologico?

 

Attenzione merita l’esempio francese. Già più di due anni fa, il ministero dell’ambiente parigino ha inserito nei suoi programmi il sostegno alla vendita dei prodotti locali dell’Île-de-France nei centri commerciali non tanto per facilitare l’agricoltura, ma per venire incontro alle esigenze manifestate dai protocolli di Kyoto per ridurre le emissioni di gas nocivi. Questo è un esempio molto interessante perché il sostegno all’agricoltura del milanese può avere un ruolo importante nell’abbattimento parziale della circolazione dei tir che portano avanti e indietro generi alimentari per l’Europa. A questo poi si aggiunge il ruolo indispensabile del verde per l’abbattimento delle emissioni di carbonio.

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