Scriveva Thomas Mann nelle storie di Giuseppe: “(…) la cosa strana è che tuttavia la proprietà restava sempre proprietà. La caratteristica infatti della proprietà libera e personale è il diritto di vendere e di trasmettere in eredità, e Giuseppe lasciò in vigore questo diritto. In tutto l’Egitto ogni terreno appartenne d’allora in poi al Faraone ma poteva nello stesso tempo essere venduto e trasmesso in eredità. Non a caso abbiamo parlato di una trasformazione magica del concetto di proprietà per opera dei provvedimenti di Giuseppe (…)” (T. Mann, Giuseppe il nutritore)



È in questa trasformazione magica del concetto di proprietà che risiede il concetto stesso di trasformazione del territorio di una città, la “città pubblica” e la “città privata” come simbolicamente evocato anche nel Piano di Governo del Territorio adottato dalla Giunta guidata dal sindaco Letizia Moratti su iniziativa dell’assessore Carlo Masseroli.



Quanto sta scritto nei documenti che andranno a comporre il Pgt – il documento di piano, il piano delle regole e il piano dei servizi – si può a pieno titolo ascrivere ad una rivoluzione copernicana nel campo dell’urbanistica e più in generale nello sviluppo spaziale e a-spaziale della città.

E ciò per almeno due ordini di ragioni. La prima incide direttamente sul concetto di programmazione dello sviluppo del territorio e rende giustizia delle discriminazioni tra proprietari per la natura vincolistica delle previsioni di spazi da riservare alle opere collettive. La seconda, riguarda la dotazione di servizi per la comunità, non più previsioni generali ed astratte (che in presenza di risorse scarse non venivano rispettate) ma piena valorizzazione della libera iniziativa di privati, gruppi intermedi e soggetti pubblici accreditati che insieme concorrono ad assicurare elevati standard qualitativi dei servizi.



Semplificando al massimo, si può ritenere che il concetto di programmazione, cui possono attribuirsi diversi significati, può certamente essere utilizzato per riferirsi a un insieme coerente di prescrizioni dirette a coordinare un complesso di attività rispetto ad un fine (allorché, ad esempio, siano conformate le iniziative economiche dei privati). Sotto altro profilo, la programmazione può essere intesa anche come un modulo positivo di organizzazione delle funzioni pubbliche, in virtù del quale l’amministrazione si autolimita nell’esercizio del proprio potere discrezionale, sia sul versante dei rapporti con i privati, sia su quello delle relazioni intersoggettive con altri centri di potere pubblico.

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Nel Pgt, tuttavia, la programmazione assume un significato nuovo e proteiforme capace di ricucire una frattura, solo apparentemente insanabile, tra gli interessi attraverso il coinvolgimento di una pluralità di soggetti pubblici e privati attorno a un progetto condiviso e a un insieme di obiettivi da perseguire congiuntamente. La programmazione del territorio che emerge dal Pgt, con una piena valorizzazione del principio di sussidiarietà, sana le falle dell’urbanistica pianificatoria attraverso l’applicazione di un principio di giustizia distributiva (per esempio la perequazione urbanistica, che consente di attribuire un indice di edificabilità omogeneo sull’intero territorio) rispetto al sistema classico dello zoning inteso come distribuzione ordinata sul territorio delle diverse funzioni urbane.

 

A valle di questo processo programmatorio si collocano poi una diversa declinazione dei poteri amministrativi più inclini al sistema della soft regulation (si vedano al riguardo le previsioni del piano delle regole), la marginalizzazione degli istituti espropriativi e conseguentemente la forte riconsiderazione del ruolo del privato come soggetto attivo in grado di svolgere una “funzione urbanistica” ed apportare un contributo positivo nello sviluppo della città e del territorio. Del resto, già la prassi degli oneri di urbanizzazione a scomputo ha mostrato l’efficacia di un intervento diretto dei privati nelle dotazioni di servizi.

 

Si tratta di una rivoluzione che va nella direzione di assicurare il risultato delle scelte pianificatorie in luogo della sola fissazione delle prescrizioni urbanistiche, per lo più opera di pochi (sedicenti) illuminati, “condeterminando” con gli interessi privati e della comunità l’individuazione della scelta migliore d’uso del territorio, ma soprattutto garantendo che alla fissazione delle prescrizioni segua simultaneamente l’attuazione delle scelte concordate.

E ciò ci consente di evidenziare la seconda ragione per cui il Pgt del Comune di Milano rappresenta un unicum nel panorama urbanistico italiano.

 

La legge regionale n. 12 del 2005 (articolo 9) chiarisce che il piano dei servizi è preordinato ad assicurare una dotazione globale di aree da destinare a standard. Il riferimento espresso è alle attrezzature e ai servizi pubblici e di interesse pubblico generale, al verde, ai sistemi ecologici etc. Tra i servizi e le attrezzature pubbliche e di interesse pubblico generale sono ricompresi anche quelli privati, di uso pubblico o di interesse generale, “regolati da apposito atto di asservimento o da regolamento d’uso, […] ovvero da atto di accreditamento dell’organismo competente in base alla legislazione di settore, nella misura in cui assicurino lo svolgimento delle attività cui sono destinati a favore della popolazione residente nel comune e di quella non residente eventualmente servita”.

 

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Ciò significa che in alternativa alla cessione dell’area sottoposta a vincolo il proprietario possa, in accordo con la Giunta comunale, realizzare direttamente l’attrezzatura e gestire il servizio previa stipula di una apposita convenzione intesa a disciplinare le modalità attuative e gestionali dell’operazione.

 

Tuttavia, non è sempre detto che la realizzazione delle opere segua le logiche assimilabili a quelle dello scomputo.

E, invero, può ben accadere che i servizi e le attrezzature non siano acquisiti al patrimonio comunale e tanto meno asserviti all’uso pubblico, bensì restino nella piena proprietà del privato a cui, sulla base di una convenzione ovvero di un atto di accreditamento, si consente di svolgere iniziative conformi alle esigenze di interesse generale determinate dal piano dei servizi, soddisfacendo così la destinazione dell’area a standard qualitativo.

 

Ricorrendo tale ipotesi, che potremmo definire “standard privato” – il proprietario conserva infatti la proprietà dell’opera, oltre che dell’area, anche dopo la sua esecuzione – in regime di convenzionamento/accreditamento, trova piena attuazione quel principio di valorizzazione della libera iniziativa dei privati e dei gruppi intermedi di soddisfare beni ed interessi della comunità.

A bene vedere, quindi, anche il piano dei servizi, attuabile secondo le logiche dell’accreditamento, è destinato ad introdurre un effetto dirompente nella prassi urbanistica e soprattutto, per quel che più importa, ad assicurare sul territorio la dotazione di servizi di elevata qualità.

 

Quanto vedrà la luce nelle prossime settimane è una rivoluzione che, in un contesto da sempre dominato dagli interessi di pochi che vantano sodalizi nel Palazzo, riporta al centro la persona, i suoi bisogni e le sue relazioni restituendogli un bene prezioso: il territorio.

 

 

(Alessandro Venturi)

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