Milano smarrita, senza cuore? Giorgio Vittadini, professore di Statistica alla Bicocca, fondatore della Compagnia delle Opere, oggi presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ha un lieve sussulto. «Milano non è la Lombardia, non sono le valli, non è la Brianza. Il senso di solidarietà che c’è a Milano forse non c’è in tutta la regione».
Ha ragione il cardinale. C’è tanta generosità ma è sparita la borghesia?
La borghesia si deve svegliare. Se è illuminata, se è quella di prima, non disprezzi quello che nasce dal basso. L’appello del cardinale sarà ascoltato se questa borghesia si renderà conto dell’esistenza di un luogo che non ha generato lei stessa, e penso alle centinaia di associazioni sparpagliate in ogni periferia, e sarà capace di valorizzarlo.
Non vuole o non sa vedere?
È sempre più comodo non vedere. Se mi rendo conto del cambiamento, devo cambiare anch’io.
Dov’è il cambiamento?
Nelle periferie, soprattutto. Mentre dal dopo tangentopoli, c’è stata una paralisi totale, nell’illusione che bastasse una moralità costruita calata dall’alto, senza il coinvolgimento delle persone, per rinnovare la città, è dal basso che è nato il vero cambiamento. Con i don Colmegna, e non c’è n’è uno solo; il banco alimentare; i quartieri che erano degradati e ora sono al centro della rinascita della responsabilità nata dal basso.
Quindi?
Anche le istituzioni dovrebbero imparare a leggere chi si muove, catturare dal basso.
Milano è xenofoba o meticcia?
Assolutamente meticcia. Certi fenomeni, certe idee un po’ xenofobe, non sono di questa città. La nostra è la cultura del meticciato che prima ha fatto di noi persone in cui il milanese e il meridionale si confondono. E oggi per molti aspetti anche gli extracomunitari. Penso a quante parrocchie di rumeni, cattolici ortodossi, armeni, coreani, filippini che qui si raggruppano e hanno accoglienza.
Oggi si scivola sui temi come immigrazione, integrazione e povertà.
Milano è sempre stata la città della conciliazione delle idee e delle ideologie. Ed è un mondo che sente l’immigrazione e l’integrazione come una risorsa. E sente che la povertà va affrontata. Ma ha un approccio molto pragmatico.
Anche per l’Expo?
Spero non perda l’occasione di dare prova del suo pragmatismo. Abbiamo la soluzione qui per arrivare a tanti dei temi che stanno a cuore ad altri paesi. E se non siamo coscienti di questa ricchezza potenziale, facciamo harakiri.
(Pubblicato su Il Corriere della Sera ed. Milano del 23 maggio 2009)