Da innamorato di Milano, quello che più mi attendo dall’Expo è che gli anni che ci dividono dal 2015 possano aiutare la nostra città a recuperare una consapevolezza di sé e della propria unicità, che negli scorsi decenni si è un po’ appannata.
Tra i tanti spunti possibili, ne indico tre.
1) Il primo è che Milano possa produrre nuovi luoghi di convivenza, e impari a valorizzare meglio quelli che ha. Se la città post-moderna, fondata sui flussi, produce soprattutto non-luoghi, tanto più si sente il bisogno di opporre luoghi affettivi, luoghi di socialità, luoghi dove la gente si possa incontrare e mescolare, luoghi nei quali, semplicemente, la città possa fare presidio – perché altrimenti Milano rischia di diventare soltanto un insieme di percorsi individuali, incapaci di produrre convivenza, di fare società. In questo senso, dispiace vedere i cinema del centro costretti a chiudere uno dopo l’altro, perché i cinema dentro il tessuto cittadino sono uno di questi presidii. Oggi ci si incontra soprattutto per fasce di età, ceto sociale o interessi particolari. Per creare tessuto sociale è necessario fare un passo oltre questo limite. Chiamo luogo tutto ciò (cinema, ristorante, mercatino rionale, bar tabacchi ecc.) che aiuta a fare questo passo.
2) Il secondo spunto riguarda il recupero del nostro orgoglio culturale. Ogni volta che passo davanti al Politecnico – che non è un’università come le altre, è “la” scuola milanese per eccellenza – mi ferisce la disistima che la città nutre per luoghi come questo. Com’è possibile che Piazza Leonardo sia così ridotta, con pozzanghere, i giardini ridotti a prati pieni di erbacce ecc.? Il Poli è una gloria di tutta la città, oltretutto è un edificio bellissimo, come bellissimi sono molti altri edifici della zona. Si tratta di un’area cittadina molto speciale, il cui degrado è il segno di uno spaesamento culturale della città, capacissima di produrre strategie ma debole nell’esercizio di un’intelligenza larga e capace di affettività (com’è, viceversa, nella sua tradizione profonda, che è tutt’altro che morta).
3) Il terzo spunto riguarda le istituzioni e i grandi soggetti culturali cittadini – musicali, teatrali, artistici, editoriali -, di cui non discuto la capacità di offerta culturale, che sanno importare e presentare decentemente alla città quello che si fa nel mondo, ma che non sanno valorizzare quanto si realizza dentro la città. Milano produce una gran quantità di giovani artisti, scrittori, pittori, attori, musicisti, ma non ha la forza o il coraggio di farli crescere e di imporli davanti al mondo. Per questo sento sempre più il bisogno di aria nuova, di nuovi progetti, di nuove strategie, ma soprattutto di rinnovato coraggio culturale. Ricordiamo che non esiste il neutro in cultura: chi non costruisce, inevitabilmente demolisce, chi non fa crescere fa tappo.