Labor omnia vincit: il motto dell’esposizione industriale milanese del 1881 potrebbe facilmente essere utilizzato anche per inquadrare Milano e il suo territorio negli anni ’50 e ’60 del secolo successivo.
Il boom economico investe questa zona soprattutto con il rafforzamento delle industrie, del terziario e del sistema creditizio; una delle conseguenze della grande offerta di lavoro è l’aumento vertiginoso della popolazione: la città assorbe il 50 per cento di tutti i movimenti migratori nazionali; per dare un’idea, nel triennio 1960-1962 circa 235.000 persone provenienti dal Sud e dalle zone orientali d’Italia si stabiliscono nella metropoli e nei comuni limitrofi.
Milano è consapevole di trovarsi in una situazione di privilegio riguardo all’indice di ricchezza complessivo dei suoi abitanti, e insieme di difficoltà ad assorbire e integrare le folle di immigrati (spesso intere frazioni di paesi); l’INA-Casa, con il Comune e la Provincia, intervengono con i cosidetti “Villaggi” di abitazioni ad affitto modico, spesso sovvenzionati anche da benefattori privati: il Villaggio Gorizia e il Villaggio Giardino a Baranzate, il Villaggio Brollo tra Solaro e Limbiate, il Villaggio Vismara a Casatenovo, il S. Giuseppe a Cassina Nuova di Bollate, il S. Pio X di Cesano Maderno, l’Ambrosiano di Paderno Milanese, il Matteotti di Saronno… La diocesi ambrosiana non è impreparata a quanto accade; da sempre all’avanguardia nell’assistenza sociale e culturale, essa vanta un forte sviluppo dei movimenti giovanili – basti un accenno a Gioventù Studentesca, che affronta esperimenti come l’evangelizzazione delle periferie cittadine e delle aree di immigrazione –; e conta decine di istituzioni, come la Domus Ambrosiana, e di congregazioni religiose dedite a queste problematiche.
Anche il nuovo arcivescovo Giovanni Battista Montini, che fa il suo ingresso il giorno dell’Epifania del 1955 e resterà fino all’elezione al pontificato nel giugno del 1963, è perfettamente conscio di questa situazione. Definendo Milano la città «del time is money», imposta un progetto pastorale rivolto anche a quelle fasce deboli di fedeli che subiscono i contraccolpi del benessere. Montini insiste sul fatto che i vasti bisogni dati dalle nuove sacche di povertà, createsi in seguito al massiccio fenomeno immigratorio, sono tali non solo sotto l’aspetto dell’alloggio e dell’occupazione ma soprattutto per lo scontro di mentalità tra i milanesi e i veneti o i calabresi. Egli denuncia il fatto che la città sia divenuta «un deserto terribilmente materialista», dove barriere economiche ma soprattutto psicologiche quasi insormontabili dividono i milanesi dai nuovi venuti. Naturalmente, il suo è un progetto spirituale, che prevede soprattutto un imponente piano per la costruzione di nuove chiese nelle periferie e in quei “Villaggi”; ma il presule pensa anche alla crescita civile di questi «forestieri», che come tali non vanno trattati: «Cercheremo di fare il possibile perché sappiate di essere assistiti, che non siete di nessuno, che siete nostri!» dice ai siciliani del Villaggio di Cesate.
Montini si mette in contatto con i vescovi delle diocesi di appartenenza; incontra amministratori pubblici e finanziatori e accoglie in udienza cordiale anche diversi immigrati che vogliono conoscerlo e ringraziarlo. Più volte ribadisce che in questa emergenza deve eccellere il proverbiale “cuore” di Milano. Negli ultimi tempi dell’episcopato riesce ad ottenere un coordinamento efficiente delle diverse iniziative diocesane: nel 1961 istituisce l’Ufficio di pastorale sociale, con a capo don Cesare Pagani (futuro vescovo), per iniziativa del quale sorge, nel 1962, il Centro diocesano immigrati, presieduto dallo stesso don Pagani e composto da sacerdoti missionari e da un assistente sociale, in collaborazione con i parroci. Al cedim Montini affianca una Commissione diocesana, con i rappresentanti delle associazioni cattoliche interessate al problema. In quello stesso anno Franco Verga, un dirigente provinciale del movimento giovanile della Democrazia Cristiana, fonda a Milano un’associazione laica di volontariato, il COI, Centro orientamento immigrati, su scala nazionale. Ancora a livello ecclesiale, nel giugno del 1962 la Conferenza episcopale lombarda diffonde una Lettera sui problemi pastorali dell’emigrazione interna, che sarà seguita due mesi dopo dalla Lettera collettiva dell’episcopato italiano al clero sul medesimo argomento. «Fraterna premura», «carità» e «provvidenza» sono le parole d’ordine della Chiesa di questi anni, a diversi livelli, in merito alla grave congiuntura immigratoria: termini tutt’oggi non datati.