Mancano pochi giorni alle primarie milanesi con cui il centrosinistra sceglierà il proprio candidato sindaco. IlSussidiario.net, dopo aver intervistato ieri Giuliano Pisapia, ha chiesto a Stefano Boeri di entrare nel merito della sua proposta per la città. 

Che città ha in mente e cosa si augura per Milano?
 
Vorrei una Milano internazionale, aperta, illuminata. Uso questo aggettivo riferendomi alla coscienza comune che vorrei fosse l’humus di questa città. Sono le persone che fanno una città e Milano ha il senso dell’accoglienza nel suo dna. Perché si arrivi a questo serve una politica coraggiosa. Poi c’è tutto quello che riguarda il territorio: rilanciare le scuole civiche e allungare gli orari di scuole e biblioteche, investire su spazi verdi e su una nuova gestione dello spazio stradale, ripensare al piano di governo del territorio.



Un amministratore ha il dovere di perseguire ciò che è bello? Quanto tempo pensa di poter dedicare da sindaco alla bellezza della città?
 
Vorrei che i milanesi si trovassero sopraffatti dalla bellezza e per arrivare a questo un sindaco dovrebbe dedicarvi il giusto tempo. Garantire che una città sia bella è il dovere di ogni primo cittadino, nella stessa misura in cui è un dovere garantire che una città sia sicura, offra servizi impeccabili, sia ben organizzata. Davanti a uno scorcio piacevole della città, spesso ci ritroviamo a dire “che bello, non sembra quasi di essere a Milano”. Vorrei che tra cinque anni i cittadini dicessero sempre più spesso, quando vanno in giro per il mondo, “che bello, sembra proprio di essere a Milano”. 
 
Qual è la sua bussola, cosa la muove nella sua vita e nella sua dimensione personale?



 
La bussola è la mia città, la mia passione testarda per Milano. Questo mi muove e mi ha mosso anche nella scelta di candidarmi come sindaco, mettendomi in gioco oltre la vita professionale, per contribuire a portare Milano all’altezza delle sue potenzialità.

Se avesse a disposizione soltanto tre parole per identificare Milano, quali userebbe? Che immagine le viene in mente quando pensa a questa città?

 
Il problema di Milano è proprio quello di una città che sta perdendo la propria identità. Non servono tre parole per dirle come si presenta ai miei occhi ora, ne basta una: brutta.
Milano è una fotografia in bianco e nero, dove il bianco e il nero non sono una scelta stilistica ma un’assenza di colori, di vitalità.
 
Perchè, secondo Lei, la sinistra è da tempo minoritaria nella capitale del riformismo e un po’ in tutto il Nord?
 
La sinistra si è appiattita sul partito del “no”, laddove invece avrebbe dovuto dare risposte costruttive. Una sua mancanza è stata quella di aver perso il contatto con il territorio e con le forze attive del Paese. Non ha saputo ascoltare la “pancia” di molte zone del Nord, oltre alla rappresentanza delle associazioni e dei vari aspetti del mondo del lavoro. A volte, si è limitata a imitare le ricette degli altri, per esempio sulla sicurezza, e ha fallito. Per riemergere da questo limbo in cui è piombata deve riuscire a raccogliere le proposte e a rilanciare nuove sfide. A individuare i problemi per proporre soluzioni, come abbiamo fatto in questa campagna elettorale con le proposte delle Cinque Giornate.



Famiglie, anziani, giovani. Quali sono i cardini della sua politica sociale?

Dobbiamo dare ai giovani la possibilità di riappropriarsi della città, incentivare i ragazzi, le coppie, le giovani famiglie, a tornare a vivere nel cuore di Milano. Oggi si rifugiano nelle periferie per sfuggire ai costi elevatissimi degli affitti. Eppure Milano è piena di edifici vuoti. Tra le nostre priorità c’è quella di sfruttare le innumerevoli unità abitative inutilizzate (ben 80.000 appartamenti vuoti) e proporle a costi bassi.
Per gli anziani abbiamo in mente di istituire una consulta dei saggi: un consiglio permanente dove avvalersi dell’esperienza e del prezioso supporto di chi ha vissuto la città e le sue problematiche prima di noi. Una città deve appartenere a tutte le età e a tutte le generazioni, senza ghetizzarne nessuna.   Produttività e imprese: cosa deve fare un’amministrazione per incentivare lo sviluppo economico sul territorio?

Fare impresa significa infatti mettersi insieme per rischiare: oggi però nella nostra città, vista l’assenza di reti di protezione e i costi inaccessibili, è purtroppo diventato impossibile assumere rischi. I giovani che escono dall’università non hanno spazi per potersi mettere insieme e non hanno aiuto per l’accesso al credito. Vogliamo fare in modo che ogni università diventi un campus, in grado di dare opportunità a partire dal quartiere in cui si trovano, con la realizzazione dei Cantieri del lavoro, dove i neolaureati possano per 3 anni disporre gratuitamente di spazi e servizi di coworking.
Questo è solo un primo passo. Con l’interazione con le reti sociali del territorio, lavoreremo per conoscere e segnalare i bisogni dei cittadini, in modo da sollecitare la nascita di imprese che forniscano i servizi mancanti, attraverso particolari benefici e incentivi.
Poi c’è il commercio: linfa vitale di questa città. Ci sono “mestieri” in grado di offrire migliaia di occasioni di lavoro attualmente vacanti, per questo promuoveremo una grande campagna per lo sviluppo di “arti e mestieri”. Con programmi formativi ad hoc sarà possibile rivitalizzare il settore artigiano e offrire a tutti possibilità di inserimento lavorativo e qualificazione o riqualificazione personale.

Come si coniuga, secondo Lei, l’Expo 2015 con ciò che è bene e bello per i cittadini?

L’Expo sarà un grande evento e come tale, dovrà è essere un acceleratore di scelte, un condensatore di energie economiche e un catalizzatore di energie mediatiche. Questo è un bene per i cittadini. Poi c’è la bellezza: ossia adattare gli spazi esistenti a nuove funzioni, potenziarli, sfruttare tutte le opportunità che offrono. Penso a Barcellona, che ha saputo sfruttare l’opportunità per un vero cambiamento e un reale salto di qualità. L’Expo deve diventare l’occasione, la possibilità di un nuovo modello di sviluppo sociale, politico ed economico. In questo credo che l’idea dell’Orto planetario, a cui ho lavorato sia vincente: Milano può diventare la capitale mondiale della sostenibilità e dell’alimentazione.

Spesso si parla di sussidiarietà. Per lei è un valore? Ci indichi un esempio di sussidiarietà in azione.

La sussidiarietà è un “luogo” dove la libertà individuale trova la sua massima espressione accanto alla responsabilità e alla solidarietà. E’ un grande valore ed è indispensabile in una società etica e civile. E’ praticata ogni giorno da migliaia di persone.
Il terzo settore ha sempre più un valore strategico, per colmare l’assenza della politica. Per esempio, oggi il budget del comune per le politiche sociali supera i 450 milioni di euro, le Fondazioni a Milano non superano i 20, eppure sono più incisive. Certo, nel bilancio del comune le spese di personale incidono moltissimo, ma decisivo è anche lo scarso controllo del budget. Oggi l’Assessorato ha oltre 800 convenzioni con il privato sociale, ha un budget pari al 30% del bilancio comunale, eppure non governa questa complessità.
Le fondazioni e terzo settore devono essere coinvolti in modo non rituale e burocratico, superando le rigidità degli attuali piani di zona.
A Milano ci sono risorse economiche importanti, strutture e grandissime competenze poco valorizzate. Gli esempi di vera sussidiarietà in azione nel mondo dell’associazionismo milanese a mio avviso sono così tanti che citarne uno soltanto sarebbe ingiusto verso tutti gli altri.

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