A seguito della recente esondazione del Seveso il tema della gestione dell’acqua a Milano torna prepotentemente d’attualità. Un problema che i cittadini avvertono soprattutto quando poche ore di pioggia sembrano in grado di paralizzare la città, allagando diversi tratti di strada e creando disagi alla circolazione.
«Innanzitutto è giusto chiarire che la fognatura di Milano è un’opera altamente efficiente progettata da autorevoli ingegneri idraulici alla fine dell’‘800 – dice a IlSussidiario.net Carlo Carrettini, direttore Area Acquedotto di Metropolitana Milanese -. Grazie alla capienza dei suoi condotti costituisce un polmone di compensazione essenziale per l’acqua di pioggia. Le pozze che si formano sulle strade della città non sono causate perciò dall’insufficienza idraulica della rete, ma dalle difficoltà di drenaggio dovute all’intasamento dei tombini stradali, anche se questi vengono costantemente ripuliti dall’Amsa. Infatti, le foglie dei viali alberati e la maleducazione di tutti quelli che gettano rifiuti sono le cause principali dell’ostruzione delle caditoie stradali che creano i noti disagi. Se invece parliamo di Seveso è una problematica più ampia, che la città subisce».
Cosa intende dire?
Il Comune non può far molto su ciò che accade a monte del suo territorio: da nord infatti il Seveso arriva con più acqua di quella che è possibile convogliare nel suo percorso coperto attraverso la città. Alcuni interventi strutturali sono necessari e sono stati individuati: devono ancora essere prese le decisioni definitive in merito all’esatta ubicazione e alla tempistica di realizzazione delle opere. Nel frattempo si rileva che le piogge si presentano con un’intensità maggiore e l’impermeabilizzazione dei terreni su scala regionale non sembra certo destinata a diminuire, con conseguente aumento delle portate di piena dei corsi d’acqua come nell’ultimo evento del 18 settembre.
Quali sono le soluzioni individuate?
In estrema sintesi, servirebbero due cose: canali capaci di deviare l’acqua del Seveso in altre zone e vasche in grado di immagazzinare transitoriamente i grandi volumi d’acqua delle onde di piena, da restituire poi con portate più basse ai corsi d’acqua esistenti.
Purtroppo per realizzare la prima ipotesi occorrerebbe un grosso fiume ricettore vicino alla città, di cui Milano non dispone – infatti il Lambro e l’Olona sono idraulicamente insufficienti a questo scopo. Per la seconda bisognerebbe individuare, con il consenso dei comuni, delle aree di diversi ettari per realizzare vasche di laminazione che abbiano una capienza di centinaia di migliaia di metri cubi.
E qui sta il problema…
In aree poco urbanizzate il problema della localizzazione delle vasche sarebbe già risolto… da noi è più difficile. Non si tratta, tra l’altro, di opere costosissime, ma le aree vanno individuate. Si sta discutendo se è preferibile realizzare poche grandi vasche o più vasche di minori dimensioni.È chiaro che più è alto il numero delle vasche, più è difficile e costosa la gestione.
Servirebbe più sinergia tra i livelli di governo e i soggetti coinvolti?
C’è già un tavolo tecnico a cui partecipano il comune, la provincia, la regione, l’autorità di bacino del Po e altri enti gestori del territorio tra cui anche MM.
A seguito degli eventi di agosto e settembre noi presenteremo uno studio di fattibilità, che il Comune ci ha commissionato, per fare il punto su un ventaglio di soluzioni possibili in particolare per ridurre l’impatto e la frequenza delle esondazioni nelle aree cittadine.
Se dovesse fare una previsione, in quanti anni si potrebbe arrivare alla soluzione del problema?
Dipende dalla disponibilità di fondi. Stiamo parlando di centinaia di milioni di euro che non saranno probabilmente disponibili in tempi rapidi. La progressiva realizzazione delle opere individuate potrà comunque contribuire a ridurre i disagi. Anche se per una soluzione definitiva potranno servire ancora diversi anni.