Nella suggestiva cornice delle sale panoramiche del cortile della Rocchetta al Castello Sforzesco di Milano si può visitare la mostra “Lo sguardo della fotografia sulla città ottocentesca. Milano 1839-1899” (clicca qui per accedere alla fotogallery). Sono molti i milanesi che hanno approfittato di questa occasione per ritrovare nelle immagini il volto di una città molto diversa da quella attuale, soprattutto nel suo centro storico.



Se la fotografia ha una speciale affinità con la cultura ottocentesca, con un tempo cioè avido del vero, a distanza di oltre un secolo il desiderio di conoscere la propria città si tinge di un velato rimpianto, non solo per le demolizioni effettuate per fare spazio a nuovi edifici, ma anche per l’idea generosa, benché non sempre felice, che sottende talune trasformazioni.



La più famosa è quella di piazza del Duomo. Non è noto a tutti che fino al 1867 essa era molto più piccola rispetto all’attuale, per la presenza di edifici bassi, tra i quali l’isolato del Rebecchino, che resistette fino al 1875, anno in cui fu demolito per fare spazio ai portici meridionali. La facciata del Duomo risultava così  chiudere uno spazio più angusto, ma anche più vivibile e meno dispersivo dell’attuale, in cui i portici, freddi e lontani, non riescono ad abbracciare la cattedrale con il calore che le sarebbe dovuto. Anche il corso Vittorio Emanuele nelle fotografie d’epoca cinge l’abside con una prospettiva meno rigida di quella odierna.



Al contrario, la via di comunicazione tra piazza del Duomo e piazza della Scala doveva celebrare agli occhi dei contemporanei un inno al progresso: i necessari lavori di demolizione degli edifici esistenti e quelli di costruzione della Galleria, iniziati nel 1865 e conclusi solo due anni dopo, sono ampiamente documentati da una nutrita serie di fotografie, tra le quali spiccano quelle che riprendono la tettoia in ferro e la cupola sovrastante l’ottagono. In questo caso la fotografia restituisce l’arditezza costruttiva nella sua nudità, con un effetto molto suggestivo. Il salotto di Milano viene poi completato con l’arco d’ingresso costruito nel 1876-77 e inaugurato l’anno seguente.

La mostra prosegue con una ricognizione degli edifici più belli di Milano, il Castello, l’Ospedale Maggiore (con una veduta del Laghetto utilizzato per il trasporto dei marmi di Candoglia per la costruzione del Duomo), l’Arena, Santa Maria delle Grazie, Sant’Eustorgio prima e dopo i restauri del 1860, San Marco con il naviglio che ne lambiva la navata meridionale, San Satiro.

Lo sguardo della fotografia si ferma sui portali, sugli edifici civili, sugli archi di Porta Nuova, di Porta Comasina, sui Caselli di Porta Orientale, sul naviglio all’incrocio tra via Molino delle Armi e via Santa Croce e il ponte di Porta Ticinese, vicino alla chiesa di Santa Maria della Vittoria, solo per elencare ciò che il tempo ha molto mutato. E poi la vecchia stazione centrale eretta nell’attuale piazza della Repubblica e il Lazzaretto, ripreso da più punti di vista. Dai bastioni di porta Venezia si scorge tutta l’ampiezza dell’area su cui sorgeva l’antico edificio del Quattrocento ormai fatiscente,  già quasi del tutto demolito a partire dal 1886 e trasformato in abitazione per gli indigenti.

L’eleganza del bianco e nero restituisce alla città un fascino poetico che essa ha in gran parte smarrito, se non nelle giornate in cui la nebbia, come diceva Leonardo da Vinci, addolcisce i contorni. Vale la pena perciò ritornare attraverso lo sguardo della fotografia alla Milano ottocentesca, al fervore che l’ha animata, alla sobrietà delle vie e delle piazze, alla lungimiranza dei nuovi interventi.

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