Al Museo Poldi Pezzoli di Milano, fino al 28 febbraio 2011, una piccola e prestigiosa mostra, Botticelli nelle collezioni lombarde, celebra il quinto centenario della morte del grande artista, uno dei maestri del Rinascimento italiano. Essa comprende, oltre alle tre opere possedute dal museo di via Manzoni, tre dipinti provenienti dalla Pinacoteca dell’Accademia Carrara di Bergamo e due disegni appartenenti alla Biblioteca Ambrosiana.
L’iniziativa è una occasione per riscoprire la personalità di Botticelli e l’evoluzione del suo linguaggio, ma è anche omaggio alla sagacia dei collezionisti lombardi, che hanno saputo riconoscere la grandezza del pittore fiorentino e ne hanno valorizzato l’opera nella loro terra.
L’allestimento è progettato in modo tale da isolare ogni opera in una “stanza”, avvolgerla in uno spazio rarefatto e lasciarla vivere nella penombra. In questo modo è facilitata una visione più attenta, senza che alcun altro elemento distragga dall’intensità del linguaggio dei dipinti.
L’artista che qui si può ammirare è più tormentato e problematico di quello universalmente noto degli Uffizi; le opere presentate risalgono agli ultimi due decenni del Quattrocento, quando cioè al platonismo dell’accademia ficiniana che informa le opere più giovanili e già perfette di Botticelli si sostituiscono inquietudini religiose che troveranno approdo nella predicazione di Savonarola.
Anche la serenità della Madonna del Libro, così evidente nel capo reclinato e nell’aria assorta e meditativa si vela di malinconia: il Bambino che la guarda, il libro aperto sulla profezia di Isaia, i tre chiodi raffigurati nella mano sinistra e la corona di spine che gli cinge il braccio alludono al dolore di quella maternità, appena alleviato dalla luce che entra dall’ampia finestra.
Il Ritratto di Giuliano de’ Medici, proveniente dall’Accademia Carrara, suggerisce nella sua severa staticità, amplificata dall’abbozzo della finestra sullo sfondo, l’idea della morte. Gli occhi abbassati e la rigidezza dei tratti del volto fanno pensare a una maschera mortuaria, quale probabilmente servì al pittore per restituire l’immagine di Giuliano, ucciso nella Congiura dei Pazzi a soli venticinque anni.
Altre due tavole dai toni fortemente drammatici sono il Cristo dolente in atto di benedire e il Compianto sul Cristo morto, entrambe dipinte negli ultimi anni del secolo. La prima mostra la figura di Cristo, ritratta frontalmente a mezzo busto e a grandezza naturale contro uno sfondo nero. Le ferite delle mani, le gocce di sangue create dalla corona di spine, lo sguardo di Gesù fisso sullo spettatore, le lacrime che scendono dall’occhio destro rendono questo dipinto un’immagine fortemente emotiva, che riflette i travagli religiosi del tempo.
La stessa cosa può dirsi del Compianto, in cui la Madonna svenuta accoglie in grembo il Salvatore, il cui corpo è sostenuto da due pie donne, mentre una terza si copre il volto con la veste e una figura maschile, forse Nicodemo, si staglia sull’oscura cavità del sepolcro.
L’opera fu commissionata dal miniatore fiorentino Donato Cioni, dedito alle opere di carità, forse seguace del Savonarola. Il tono della composizione ben si inscrive nella religiosità alta e toccante del frate di Ferrara.
La fortuna di Botticelli lentamente tramonta; nuovi artisti quali Perugino, Ghirlandaio, Filippino Lippi, Leonardo e Michelangelo si affacciano sulla scena fiorentina e l’ultimo periodo della sua pittura è attraversato da ombre, proprio come la sua vita non più lieta, come i tempi inaspriti da polemiche che sembrano dolorosamente anticipare la Riforma.