Giovanni Testori narra la periferia milanese, con le sue fabbriche, le officine, le famiglie, i ladri, i prati incolti con toni spesso giudicati espressionisti.
Al centro delle sue storie sovente vi sono le donne, dotate di decisione e di robustezza, come le due protagoniste del racconto La Gilda del Mac Mahon e dell’opera teatrale La Maria Brasca, pubblicati nella raccolta “I segreti di Milano tra il 1959 e il 1960”.
Tra la Gilda e la Maria c’è una affinità, ed è la voglia di vivere.
La prima viene descritta così:
«Malgrado i dolori, malgrado le lacrime, malgrado la disperazione e, in certi momenti, la voglia di farla finita con tutti e con tutto, non solo non sapeva odiarli e maledirli, ma sapeva solo adorarli.
Ogni volta che un uomo l’avvicinava, si sentiva prender da un’ansia e da un tremore che confinavano con la vertigine, come se si trattasse sempre del primo; e sì che gli anni, ormai, erano trentatrè suonati!».
Aveva cercato di uccidersi quando il Gino Bonfanti, dopo che lei l’aveva mantenuto in carcere come un signore, s’era sposato con un’altra. Ma poi aveva capito di aver fatto un altro passo nell’accettare la vita così com’è. Il Gino si rifà vivo perché ha bisogno di soldi e la Gilda, generosa in tutti i sensi, lo aiuta. Ma lui ha famiglia e finisce come deve finire. Dopo una scena madre, la Gilda, che non può stare senza un uomo, si prende un altro Gino, Gino Restelli.
La Maria è un’operaia di un calzificio nella periferia nord di Milano; appartiene a un mondo di gente che lotta per sopravvivere, ma lei ha qualcosa di più: vive per essere felice così com’è, con la sua passione per gli uomini, con la sua fermezza nell’infischiarsene delle convenzioni sociali, nel tirare fuori anche le unghie per avere l’uomo che desidera.
E non ha vergogna di dire al suo Camisasca, al colmo di una scenata di gelosia in un prato vicino a Niguarda:
«Ma lo sai cos’è per me la vera, l’unica dignità? È quel che abbiam fatto insieme; ecco cos’è. Quello e nient’altro. Chi crede più oggi come oggi che uno può sbagliare e restar quel di prima o anche meglio?».
Pochi altri gli ambienti: la modesta cucina nella quale capitano le cose familiari, i litigi, le rivelazioni, i pianti della protagonista, di sua sorella Enrica, di suo cognato Angelo, in cui si parla dei mestieri di casa, dei piatti, dei rammendi; il portone dell’amica Giuseppina, sotto il quale si fanno le confidenze più decisive.
La verità dei due personaggi sta nel coraggio con cui affrontano la vita, quando il loro amore è ricambiato, ma anche quando è tradito. La voglia della felicità, questo sentimento così raro nelle produzioni novecentesche, qui si incarna nei panni dimessi e popolani, nelle voci e nelle azioni di due donne talvolta chiuse nella loro solitudine, più spesso combattive strateghe della loro storia d’amore.
La parlata lombarda è smagliante, tipica di quel mondo della periferia milanese, popolato di poveri diavoli che tirano la carretta in fabbrica o a bottega, ma non rinunciano ai loro sogni. I segreti di Milano sono anche quelli delle tante donne che hanno vissuto una vita simile, oggi praticamente scomparsa.
La scrittura di Testori non permette alla nostalgia di attecchire nemmeno per un attimo, ma restituisce un mondo di affetti e di passioni con la forza di chi ama la propria terra e ne racconta la schietta umanità. Anche questa attitudine realista, appena venata di amaro, fa parte dell’anima lombarda.