L’edificio seicentesco che ospita la Biblioteca e la Pinacoteca Ambrosiana sorge in una piccola piazza appartata del centro di Milano. Forse anche per questa sua posizione defilata esso non è molto conosciuto dai milanesi. Ed è un peccato perché, anche senza considerare l’origine di tale istituzione, nata per volere del cardinale Federigo Borromeo e aperta al pubblico dal 1609,  anche senza stimare la sua importanza nella storia culturale di Milano, essa raccoglie da quattro secoli un prezioso patrimonio di volumi e di dipinti e li mette a disposizione oggi in un ambiente severo e sobrio.



L’umiltà, motto della famiglia Borromeo, diventa nelle sale dell’Ambrosiana invito alla riflessione e alla prudenza.
Tra i capolavori custoditi nella Pinacoteca è da segnalare il grande “cartone” preparatorio di Raffaello per l’affresco della “Scuola di Atene” in Vaticano. Realizzato dal maestro di Urbino nel 1510, fa parte dell’Ambrosiana dal 1610, grazie al mecenatismo di Federigo Borromeo.



Il duplice centenario è stato celebrato da una giornata di studi interdisciplinari, che hanno analizzato l’opera dal punto di vista artistico e filosofico, nell’intento di far comprendere non solo agli studiosi, ma semplicemente agli amanti dell’arte, l’attualità culturale di un’opera che compie cinquecento anni.

Lo ha notato monsignor Franco Buzzi, Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, introducendo le relazioni degli esperti e dei restauratori degli affreschi della Stanza della Segnatura. Rifacendosi al quadro allarmante che emerge dall’ultimo rapporto del Censis, che tratteggia la nostra come una società caratterizzata da  fragilità personale e comune, da  sregolatezza di costumi, da crescente violenza e cinismo, condannata al presente, senza profondità di memoria e di futuro, egli ha osservato che occuparsi del dipinto di Raffaello equivale a un recupero del patrimonio del pensiero antico, divenuto in seguito costitutivo della verità cristiana.



Gli ha fatto eco con grande competenza e semplicità la comunicazione di Antonio Paolucci, già Direttore degli Uffizi e ora dei Musei Vaticani, che ha illustrato la figura di Giulio II Della Rovere, il papa noto per aver più dimestichezza con la spada che con l’ostensorio, ma che dimostra anche una notevole apertura culturale se, tra il 1508 e il 1512 commissiona al giovane Raffaello gli affreschi per la sua biblioteca privata.

Su una parete l’artista dipinge la Scuola di Atene, il dibattito dei filosofi e la celebrazione della ragione umana volta alla conoscenza della realtà: causarum rerum cognitio, recita la scritta che indica l’intento dell’opera. Sulla parete opposta è raffigurato il vertice della conoscenza, il mistero dell’Incarnazione, che diventa pane nel Sacramento, oggetto di adorazione, non di disputa tra i dottori della Chiesa: divinarum rerum notitia, non traguardo raggiunto dallo sforzo razionale, ma annuncio della Rivelazione, che la libertà umana può accogliere o rifiutare.

In quella Stanza della Segnatura sono poi dipinte la consolazione della bellezza che viene agli uomini dalla poesia, dono che viene dall’alto, e la glorificazione della legge, senza la quale la società ridiventa ferina. Opera impegnativa, ha concluso il relatore, che indica la capacità di Raffaello di assorbire tutta la pittura a lui precedente e contemporanea, in una facilità espressiva che fa riconoscere in lui l’impronta del genio.

Il cartone preparatorio appartenente all’Ambrosiana misura circa tre metri per otto: difficile ritenere che sia servito materialmente all’artista per l’affresco; le dimensioni l’avrebbero di certo rovinato.

Resta la testimonianza dell’ideazione di un’opera, di una sua prima realizzazione provvisoria, che tuttavia nei decenni ha assunto un valore di compiutezza e in questa veste è giunta a Milano. Non è possibile non rallegrarsene, soprattutto ricordando l’ammirazione stupita dei propri allievi, davanti al bell’allestimento del cartone di Raffaello, durante una visita didattica alla Pinacoteca.