Nato nel 1902 a San Colombano al Lambro, il beato don Carlo Gnocchi ha legato per lungo tempo la sua vita a Milano, città in cui ha svolto il suo ministero a partire dal 1925 come assistente all’oratorio, poi dal 1936 come direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga, raccogliendo ovunque stima e affetto.
Nel 1940 l’Italia entra in guerra e don Carlo si arruola come cappellano volontario per accompagnare i molti militari chiamati al fronte. Terminata la campagna nei Balcani, nel 1942 il sacerdote riparte per il fronte russo. Nel gennaio del ‘43 inizia la drammatica ritirata del contingente italiano: don Carlo, caduto stremato ai margini della pista dove passa la fiumana dei soldati, viene miracolosamente raccolto su una slitta e salvato.
Ritornato in Italia nel 1943, don Carlo inizia il pietoso pellegrinaggio, attraverso le vallate alpine, alla ricerca dei familiari dei caduti per dare loro conforto morale e materiale. Nello stesso periodo aiuta molti partigiani e politici a fuggire in Svizzera, rischiando in prima persona la vita: viene arrestato dalle SS con la grave accusa di spionaggio e di attività contro il regime.
Il voto fatto durante un accerchiamento in cui poteva cadere prigioniero dei russi, che se il Signore lo avesse salvato, avrebbe dedicato tutta la sua vita a un’opera di carità, comincia a prendere forma. Nel pianto dei bambini che gli vengono affidati, Bruno che non ha più braccia, Carlo che si regge a malapena sulle stampelle, don Carlo risente la voce di un soldato morente, sul treno: “Il mio bambino, lo raccomando a voi”.
Egli stesso racconta nel libro scritto pochi giorni prima di morire, "Pedagogia del dolore innocente", l’occasione della nascita della sua “baracca”, come amava chiamare l’Opera dei Mutilatini. Don Giussani raccontava spesso questo episodio e il profilo aguzzo di don Gnocchi, il cappello da alpino con la penna nera, gli occhi chiarissimi, quasi trasparenti parlavano con la voce roca di un altro grande sacerdote lombardo.
«Dopo lo scoppio della bomba, Marco, l’unico superstite dei quattro bambini, che, ignari e spensierati, giocavano su un campo minato, era stato immediatamente sottoposto all’intervento chirurgico: amputazione delle gambe, estrazione del globo oculare e regolarizzazione delle vaste e numerose ferite che ne crivellavano il fragile corpo palpitante. Lo vidi qualche tempo dopo l’operazione, quando ancora le medicazioni quotidiane lo facevano tanto soffrire e gli domandai: "Quando ti strappano le bende, ti frugano nelle ferite e ti fanno piangere, a chi pensi?’"
"A nessuno", mi rispose con una punta di meraviglia nella voce.
"Ma tu non credi che ci sia qualcuno al quale potresti offrire il tuo dolore, per amore del quale tu dovresti reprimere i lamenti e inghiottire le lacrime e che potrebbe aiutarti a sentire meno il tuo dolore?".
Marco fissò nel vuoto il viso devastato, guardando con l’unico occhio stranito, e poi, scuotendo lentamente la testa, disse: "Non capisco…" e tornò a giocherellare distratto con l’orlo del lenzuolo.
Fu in quel momento che io ebbi la precisa, quasi materiale sensazione di un’immensa irreparabile sciagura: della perdita di un tesoro, più prezioso di un quadro d’autore o di un diamante di inestimabile valore. Era il grande dolore innocente di un bimbo che cadeva nel vuoto, inutile e insignificante, soprannaturalmente perduto per lui e per l’umanità, perché non diretto all’unica meta nella quale il dolore di un innocente può prendere valore e trovare giustificazione: Cristo crocifisso».
Questo il fuoco segreto di un’attività instancabile e feconda, amatissima dai milanesi. A partire dal 1945 don Gnocchi è direttore dell’Istituto Grandi Invalidi di Arosio e accoglie i primi orfani di guerra e i bambini mutilati. Nel 1947 gli viene concessa una grande casa a Cassano Magnago.
Altre sei apriranno nel giro di pochi anni. Nel 1949 don Carlo viene nominato da De Gasperi consulente della Presidenza del Consiglio per il problema dei mutilatini di guerra. Nel 1952 un Decreto del Presidente della Repubblica riconosce la "Fondazione Pro Juventute".
Nel 1955 don Carlo lancia la sua ultima grande sfida: si tratta di costruire un moderno Centro che costituisca la sintesi della sua metodologia riabilitativa. Nel settembre dello stesso anno, alla presenza del Presidente Gronchi, viene posata la prima pietra della nuova struttura, nei pressi dello stadio di San Siro, a Milano.
Il 28 febbraio 1956, don Gnocchi muore prematuramente. L’ultimo suo gesto è la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti, quando in Italia il trapianto di organi non è ancora disciplinato da apposite leggi. Il doppio intervento riesce perfettamente. La generosità di don Carlo anche in punto di morte e l’enorme impatto del suo gesto sull’opinione pubblica imprimono un’accelerazione decisiva al dibattito e dopo poche settimane la legge viene varata.