«L’Esposizione universale può sicuramente giovare all’immagine dell’Italia nel mondo. Il fatto che il Padiglione italiano all’Expo di Shanghai sia stato visitato da milioni di visitatori fa ben sperare e bisogna anche dire che l’attesa di Expo Milano 2015, di giorno in giorno, continua a crescere. Tutto ciò è positivo, ma l’Expo da solo potrebbe non bastare». Parola di Guy Dinmore, corrispondente del Financial Times in Italia, intervistato in esclusiva da IlSussidiario.net.



Cosa intende dire?

Non ci sono dubbi che l’Expo sia una grande opportunità per Milano e per l’Italia. Il Paese però deve attrezzarsi, non può permettersi che questo evento si chiuda dopo sei mesi senza lasciare traccia del suo passaggio. Sarebbe un’occasione sprecata, di quelle che non passano più…

Cosa occorre fare prima di tutto?



Riforme. Senza un’azione riformatrice seria in Italia fare investimenti rimarrà una cosa troppo complicata, con le conseguenze che tutti possono intuire. Lo dice anche l’ultimo rapporto della Banca Mondiale. Basti pensare che il rating business dell’Italia è addirittura diminuito negli ultimi cinque anni. Bisogna attrezzarsi per il dopo, senza accontentarsi di gestire una grande fiera…

Il brand Milano è ancora forte? Come viene vista la città da un punto di vista internazionale?

 

Il brand è molto forte. Stiamo parlando di una città creativa, di una delle capitali del design, della moda e di tutto ciò che è fashion. Non dimentichiamoci poi le eccellenze nel campo universitario (Bocconi e Politecnico su tutte). Non a caso ci sono ancora molti giovani stranieri che vengono a studiare qui.



 

 

E se chiedessimo a lei, che segue l’Italia per uno dei più importanti giornali inglesi, quali parole le vengono in mente quando sente il nome Milano?

 

La moda, La Scala, il modello industriale, ma anche la Lega Nord e Silvio Berlusconi…

 

 

A proposito di politica, il capoluogo lombardo l’anno prossimo dovrà scegliere se confermare l’attuale sindaco o se preferire altri candidati. Al di là del colore politico quali sono le priorità che la nuova amministrazione si troverà ad affrontare?

 

I problemi più evidenti, come in ogni grandi città, sono essenzialmente il carovita e l’immigrazione. In particolare, una nuova politica sulla casa è di primaria importanza. Gli affitti sono carissimi, quasi al livello di Londra. E questo porta con sé inevitabilmente all’esplosione di ulteriori bubboni: anche per gli immigrati è complicato avere una casa, con conseguenze sociali enormi. Serve, in pratica, una politica che aiuti i cittadini a superare la crisi. Un altro tema fondamentale, se parliamo di Expo, è poi quello dei trasporti…

 

 

Su questo tema il gap con le grandi città europee è ancora elevato?

 

Direi di sì, anche se non si può parlare di un problema “milanese”, ma italiano. Basti pensare a ciò che si trovano di fronte i turisti che arrivano alla metropolitana di Roma o a Fiumicino. D’altra parte in molte città del nord le cose funzionino più o meno come in Francia o in Germania. I problemi iniziano quando si scende al Sud. Bisogna anche aggiungere che le capitali europee ultimamente non hanno dato grande prova di sé: guardiamo a cosa sta succedendo all’aeroporto di Heathrow in questi giorni per qualche fiocco di neve e la stessa Tube della City è un disastro.

 

 

Qualche anno fa, un’inchiesta dell’Economist sul nostro Paese si intitolava “Bye bye Dolce Vita”. anche lei ha l’impressione che l’Italia abbia perso fascino agli occhi degli americani o degli inglesi?

 

In parte devo dire che è così. In Inghilterra si pensa che la crisi abbia colpito pesantemente il Sud dell’Europa. L’idea è che Spagna, Portogallo, Grecia siano in grave difficoltà e che anche l’Italia non se la passi bene. Se un Paese è in declino fa cambiare lo stile di vita dei suoi cittadini. All’estero se ne sono accorti, anche se il cibo e la cultura italiana restano comunque di gran lunga in cima alle preferenze dei turisti di tutto il mondo…

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