Fra pochi giorni il 2010, anno di Expo Shangai, si chiuderà e l’attenzione del mondo si sposterà su Milano. Per la città, da qui al 2015, si apre così una fase cruciale del lavoro, da cui dipenderanno successi e insuccessi finali di questa importantissima sfida. Per l’anno che verrà, 105 milioni di investimenti in opere infrastrutturali sono già pronti, anche se la definizione del progetto sembra ancora più importante di ciò che andrà realizzato nell’area che ospiterà la manifestazione. IlSussidiario.net ne ha discusso con Beniamino Quintieri, Commissario Generale del Governo per l’Esposizione Universale di Shanghai 2010, nel quale il Padiglione Italia, “La Città dell’uomo”, ha riscosso un enorme successo.



Quello di Shangai, con i suoi 70 milioni di visitatori, è stato un Expo di dimensioni gigantesche. Quali insegnamenti può ricavare Milano, pur sapendo che non potrà competere sul piano dei numeri?

È evidente a tutti che nessun paese è in grado oggi di investire come la Cina. Non a caso a Londra anche gli organizzatori delle Olimpiadi continuano a ripeterlo. Ecco perché dovrà certamente essere un Expo diverso. Anche rispetto alla declinazione del tema (che quest’anno era “Better City, Better Life”) Milano non può ispirarsi alla Cina. La sua scelta è stata quella di far conoscere e raccontare il mondo ai cinesi. Milano dovrà fare il contrario. Detto questo, l’insegnamento di Shangai resta comunque utilissimo, almeno su due piani.



Quali?

Il primo è quello organizzativo. Studiare come hanno lavorato a Shangai è certamente istruttivo. La gestione di un evento che ha frantumato tutti i record è stata ottima, non ci sono stati intoppi considerevoli anche se per diverse giornate è stata oltrepassata la frontiera del milione di visitatori.
Il secondo piano è quello dell’orizzonte e della prospettiva. Shangai ci ha mostrato con chiarezza che l’Esposizione Universale è un evento troppo grande per appartenere solo a una città. Su questo Milano rischia di fare l’errore più grave.

Cosa intende dire?

Pensare a Expo 2015 come a un “evento milanese” potrebbe essere fatale, anche se sono comunque convinto che questo equivoco iniziale sia già stato risolto.  D’altra parte, non si può replicare il modello cinese in cui, per intenderci, l’area espositiva era grande come una città di provincia italiana e su di essa venivano concentrate tutte le iniziative. L’area di Milano dovrà essere dedicata allo sviluppo del tema, ma poi bisognerà coinvolgere tutto il territorio italiano, ricco quanto nessun altro al mondo.



Ha qualche proposta in merito?

Sei mesi sono abbastanza lunghi per pensare a eventi che a rotazione interessino le principali città italiane. Dobbiamo ingolosire chi, magari per la prima volta, deciderà di venire in Italia. Molti dei visitatori ci vedono come un piccolo Paese e non sono certo spaventati dalle distanze che esistono tra Milano, Venezia, Roma o Firenze… Con un’organizzazione logistica adeguata l’offerta può essere davvero imbattibile.

Prima ha parlato della declinazione del tema, qual è stato il contributo italiano all’Esposizione cinese?

È ancora difficile fare un bilancio di tutto ciò che è stato prodotto nell’Expo appena conclusa. Bisogna infatti tener presente che ogni Paese ha presentato la propria proposta e che si sono svolte numerose conferenze che hanno visto la partecipazione di esperti e premi Nobel. L’Italia, comunque, ha presentato il proprio modello di città: piccola, vivibile, piena di storia, con un grande capitale umano che riesce a valorizzare le proprie tradizioni per produrre prodotti capaci di stare sul mercato internazionale. E, grazie a un mix di successo (dal disegno del padiglione, ai materiale innovativi con cui è stato realizzato – uno su tutti il cemento trasparente -, dall’allestimento a ciò che è stato presentato), è stato indicato come uno dei migliori e, assieme ad altri due, potrà continuare a vivere dopo l’Expo.

Nel 2015 il tema sarà invece “Feeding the planet, Energy for life”. Per svilupparlo al meglio, ci spiegava prima, Milano non dovrà imitare Shangai. Cosa significa?

L’Expo del 2015 dovrà essere un’Esposizione di idee e non di numeri. Il tema apre poi una sfida intrigante: andrà sviluppato e approfondito, ma, al tempo stesso, reso interessante a tutti, non solo agli scienziati o agli addetti ai lavori. C’è poi un altro aspetto, i cinesi hanno messo dei paletti molto ferrei ai vari paesi sul piano organizzativo, lasciando sui contenuti grande libertà. Milano, invece, dovrà invertire questa tendenza, presentandosi ai vari Paesi con una domanda semplice: “su questo progetto quale contributo volete dare?”. Solo così si potrà mettere in chiaro l’Argentina o la Francia di turno che viene a presentare il proprio paese in generale non sarebbero di alcun interesse. Per poterlo fare serve, ovviamente, un progetto chiaro.

2011-2015, si apre una fase decisiva: quali sono a questo punto le priorità?

Per prima cosa bisogna rimediare ai ritardi sui terreni, le infrastrutture e i trasporti. Non si può perdere altro tempo, anche perché non siamo in grado di replicare la velocità cinese. In Europa, e soprattutto in Italia, è infatti tutto più complicato. Parallelamente bisogna definire il progetto, con le indicazioni che dicevo prima. Questo punto è essenziale anche per convincere gli sponsor a contribuire. Per loro l’Europa è molto meno attraente rispetto a un Paese emergente come la Cina…

Concludendo, quanto si stanno giocando Milano e il Paese in generale in questa partita delicatissima?

Una città e un Paese che decidono di candidarsi a un evento del genere dovrebbero essere coscienti del fatto che fallire un appuntamento di questa grandezza sarebbe un disastro a livello di immagine e non solo. Al contrario, raggiungere l’obiettivo, significherebbe cogliere al meglio una rara occasione per ricordare al mondo che l’Italia è un paese che bisogna conoscere e visitare.
Molti, sul piano dell’accoglienza e dell’organizzazione, ci rimproverano di non essere all’altezza della bellezza che abbiamo ereditato. Spetta a noi smentirli e dimostrare di cosa siamo capaci.

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