Milano si appresta finalmente a dotarsi di un nuovo strumento di programmazione e di governo del suo territorio (il PGT), che a detta dei suoi ideatori e proponenti disegnerà il volto della città dei prossimi vent’anni. Al pari di ogni città globale, Milano è un crocevia altamente dinamico di attività, progetti, innovazioni, culture, popolazioni che si confrontano continuamente tra loro, alla ricerca di equilibri dinamici, capaci di evitare fratture insanabili tra “vincitori” e “vinti”.



Del suo dinamismo e della sua multipolarità (culturale, economica, sociale) Milano può andare giustamente fiera, senza però ignorare la complessa dialettica che ogni giorno si svolge tra i gruppi sociali che qui abitano, lavorano, arrivano e partono, cioè , in pratica, tra i suoi multiformi residenti e city users. La città che verrà dovrà continuare a essere un polo di attrazione dinamico, competitivo, avanzato, un luogo capace di creare lavoro di qualità per il maggior numero di persone, ma la Milano dei residenti (di oggi e di domani) deve fare assai meglio i conti con alcune evidenti criticità, legate alle persone, prima che alle infrastrutture per la viabilità, i trasporti, le comunicazioni, i servizi avanzati.



Dopo il picco negativo del 2003, la popolazione residente a Milano ha raggiunto nuovamente 1.300.000 unità nel 2009 e secondo le previsioni demografiche più ottimistiche potrebbe crescere di 100.000 unità da qui al 2030; resta però il fatto che attualmente gli ultra-ottantenni superano le 90.000 unità e che oltre la metà di questi anziani (47.000) vive da sola; la quota delle persone anagraficamente fragili e sole sale ulteriormente (+65.000 individui) se si considerano anche le fasce di età tra i 65 e i 79 anni. Entro il 2030 la popolazione anziana di 85 e più anni potrebbe arrivare ad aumentare del 75% rispetto a quella attuale; viceversa, per l’insieme dei soggetti in età lavorativa, è attesa una significativa diminuzione.



La popolazione milanese va incontro a un crescente rischio solitudine non soloper l’aumento della componente anziana, ma per l’affermarsi di un modello familiare sempre più ridotto ai “minimi termini”. Metà dei nuclei familiari oggi residenti è mono-componente (340.000), considerando sia i single con meno di 35 anni (70.000) che quelli tra i 35 e 64 anni (170.000), oltre ai già citati anziani.

Del rischio solitudine partecipano, in forme specifiche, anche molti di coloro che sono immigrati nella nostra città (circa 200.000 unità a fine 2009) e debbono intraprendere il difficile percorso dell’inclusione e dell’integrazione in un contesto sociale e culturale molto diverso dal proprio. A fare le spese delle molte forme di disagio e di difficoltà degli adulti sono, in misura per lo più aggravata, i figli in minore età, che richiedono particolare protezione e cura. A rendere più complesse le sfide della solitudine è il loro frequente intreccio con la scarsità delle risorse economiche (fino al caso estremo della povertà assoluta), a causa delle limitate capacità lavorative, dei guadagni insufficienti rispetto ai carichi familiari, della disoccupazione ciclica (quando ci si riferisce ad adulti in età lavorativa), oppure a causa dei redditi previdenziali e assistenziali ridotti al minimo, nel caso degli anziani.

 

Alcune stime effettuate sulla base dell’indagine sui consumi della Camera di Commercio per l’anno 2007 indicano che vivono in povertà relativa il 17% delle famiglie residenti (115.000 famiglie sul totale di 650.000) pari a circa 270.000 individui; la povertà assoluta – che identifica una condizione decisamente problematica – colpisce l’8% delle famiglie milanesi (52.000 unità) pari a circa 120.000 individui. Dati recenti di fonte Ores (Osservatorio regionale sulla esclusione sociale della Lombardia) indicano che a Milano vengono quotidianamente assistiti nei loro bisogni primari 134.000 persone ad opera di 334 enti del privato sociale che nel corso del 2010 hanno dovuto (e potuto) far fronte ad una domanda crescente.

 

Insieme al rischio solitudine (che colpisce trasversalmente tutti i ceti sociali) e al rischio povertà, la città di Milano deve fare i conti con le criticità legate alla bassa qualità abitativa degli alloggi di edilizia residenziale pubblica in cui vivono 130.000 persone, in larga misura coincidenti con i cittadini più indigenti: anche se questa popolazione non è concentrata in un unico grande agglomerato, bensì è distribuita, a macchia di leopardo, in tutte le zone e i quartieri, deve far riflettere il fatto che il loro numero supera i residenti nella città di Bergamo (che conta 120.000 abitanti) e che dunque rappresenta un rilevante problema sociale.

 

La Milano del futuro non può prescindere dalla riqualificazione urbana e dall’integrazione sociale anche di questa parte di città e di cittadini, mediante politiche integrate tra i principali settori dell’amministrazione comunale. Anche il dibattito sul PGT dovrebbe tenere in maggior conto la riflessione sulle tendenze generali della società milanese, sui progetti di vita familiare prevalenti, sulla necessità di incentivare l’insediamento delle famiglie giovani con figli, sull’attenzione da dare alla coesione sociale, frutto di intese, scambi, solidarietà collettive e, in concreto, della cooperazione tra i gruppi di interesse, i gruppi etnici, l’associazionismo dei più diversi tipi.

Sarebbe illusorio pensare che di queste problematiche debbano occuparsi (in chiave riparatoria)  solo le politiche sociali, sia pure progettate e gestite sotto forma di partnership tra pubblico e privato. La costruzione e la tenuta della coesione sociale dipendono dal modo di pensare e di progettare la città nel suo insieme, con la partecipazione più ampia possibile di tutti i protagonisti (politici, economici, sociali, culturali) delle decisioni che in via di fatto diventano vincolanti per tutti.

 

Non va comunque ignorato che anche nell’ambito di un sistema partecipato di governance i poteri e le responsabilità dell’apparato politico-amministrativo non sono surrogabili da alcun altro attore e che il banco di prova della qualità di ogni classe politica consiste precisamente nella capacità di rappresentare gli interessi generali della città e dei suoi cittadini.

 

Tra i fattori che frenano l’efficacia degli obiettivi programmatici vi è la debolezza della finanza locale, sia in termini quantitativi che in termini di vincoli procedurali per la tempestiva allocazione delle risorse. La pur ricca città di Milano, che garantisce allo stato circa il 10% delle entrate tributarie complessive, non dispone, ad esempio, delle risorse sufficienti per una politica residenziale in grado di garantire affitti sostenibili per i redditi medio-bassi, condizione necessaria per ripopolare la città di famiglie giovani e di figli.

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