Nessuna costruzione a Milano testimonia il prestigio e la ricchezza della città nell’epoca del tardo impero quanto la basilica di San Lorenzo, edificio imponente e di grande fascino, ricostruito amorosamente per lunghi secoli, dopo le distruzioni dovute a tre incendi nel 1071, nel 1075 e nel 1124 e il crollo della cupola nel 1573.
Probabilmente era la chiesa palatina, attigua al Palazzo Imperiale e sorgeva sulle rovine dell’antico anfiteatro, le cui possenti pietre furono usate per superare l’insidia del terreno acquitrinoso della zona, in precedenza adibita agli accampamenti militari, i castra vetera, da cui prende il nome l’adiacente piazza Vetra. Ubicata là dove le case si diradavano verso campi verdi e ricchi di acque, la basilica accoglieva i viaggiatori provenienti da Pavia nel quadriportico di cui resta il solo lato con le famose colonne e li introduceva nelle contrade più eleganti della Milano imperiale.
Se paragonata alle basiliche volute da sant’Ambrogio, essa conserva nell’insolita soluzione a pianta centrale proporzioni spaziali decisamente romane. L’aula quadrata e perfettamente volta a oriente, misura 24 metri di lato. Ciascuno degli ampi spazi ricurvi formati dalle absidi comunica con il vaso centrale della chiesa attraverso un doppio elemento costituito da quattro pilastri o colonne e si estende su due piani. Quello inferiore è un deambulatorio quadrilobato, quello superiore un monumentale matroneo.
Tutti gli elementi donano all’insieme una potente suggestione, che si conclude nella dinamica prospettiva della cupola. La pietra chiara dona all’edificio una luce pacata, che ne addolcisce la severità. San Lorenzo offre un’immagine plastica del perdurare della lezione dell’architettura romana dentro un orizzonte ampliato dall’impronta spirituale del Cristianesimo. Meno rigida questa civiltà, ma erede di una forza costruttiva che non è andata perduta.
Al nucleo centrale sono uniti tre edifici minori, tre mausolei ottagonali. Il più antico, forse precedente alla chiesa, è quello centrale, a croce greca, destinato ad accogliere i corpi dei santi Lorenzo e Ippolito. A destra si trova il più importante, noto come cappella di sant’Aquilino, nel quale una tradizione vuole che siano conservate le spoglie di Galla Placidia, la figlia di Teodosio. Notevoli in questo limpido spazio architettonico i mosaici dell’inizio del quinto secolo, di autentico carattere romano.
In un vano quadrato più tardo si trova l’urna di sant’Aquilino, patrono della confraternita dei facchini milanesi. Da questa cappella si scende nel sotterraneo e si ha la sorpresa di vedere nel buio i blocchi di granito che costituiscono le fondamenta dell’intero complesso basilicale. Le grandi pietre grezze provengono dalla cinta esterna dell’anfiteatro, il più possente monumento romano della città: sulle rovine del mondo latino ha attecchito il seme del Vangelo, sulle vestigia della potenza dell’impero si è edificata la Chiesa. Qui non sono le idee, ma le pietre a parlare, con il linguaggio muto della loro forza.
San Lorenzo raccoglie opere notevoli dei secoli successivi alle sue origini: l’arte romanica è presente nei campanili, nei pilastri e in alcuni affreschi del XII e XIII secolo, il Cinquecento domina all’interno con la cupola, mentre all’Ottocento si deve la facciata con il porticato classicheggiante. Forse qui, a detta di un illustre studioso, Donato Bramante apprese quella prima lezione di romanità che era destinata a guidare la costruzione rinascimentale di San Pietro.