Dal 4 al 12 dicembre all’area Rho-Pero sbarca l’Artigiano in Fiera, evento che ogni anno richiama milioni di visitatori e standisti di tutto il mondo. Ne parliamo con Giulio Sapelli, professore di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano.

Professore, cosa rappresenta Artigiano in Fiera per la città?



Rappresenta una delle sue tante bellezze, in quanto è una manifestazione storica per Milano. La dimostrazione che viviamo in una città polisettoriale che vede, in mezzo a grandi banche e grosse società multinazionali, anche un settore eccellente che vive uno sviluppo particolare: l’artigianato

Artigiano in Fiera è un evento sempre più internazionale (saranno 110 i paesi presenti ndr) e anche Milano sembra ormai una grande fiera multietnica, con tante nuove attività aperte dagli immigrati…



Il numero delle imprese extracomunitarie è in crescita, ma mi sembra normale. È un dato che accomuna tutte le città del mondo, dove spesso vediamo settori in cui gli stranieri sono specializzatissimi. A New York, per esempio, le lavandaie sono tutte cinesi. Così come in altre metropoli le scarpe le fanno solo gli armeni…

Quali sono i rischi e quali le opportunità di questa crescita?

Non vedo grossi rischi, ma forse il pericolo è quello di una divaricazione eccessiva, come accennavo prima. E c’è da considerare il fatto che queste nuove imprese di immigrati restano spesso molto piccole. Ma in fondo è normale: l’artigiano o è piccolo o non esiste. Mentre i vantaggi sono sicuramente molti. Il principale? Le imprese extracomunitarie coprono il vuoto che il mancato sviluppo di imprese medio-grandi lascia nelle città.



La globalizzazione non rischia di uccidere l’artigianato locale?

Non credo, anzi. La globalizzazione in sostanza coincide con l’aumento del commercio mondiale e della crescita. È più un’opportunità che un pericolo per l’artigianato italiano. Specialmente per quello di qualità. Tutto a patto però che gli artigiani riescano ad associarsi, a fare una politica di filiera e a inserirsi in nicchie positive. Facciamo un esempio: in Monza e Brianza, gli artigiani del mobile hanno cominciato a costruire interni per le barche di mezzo mondo. Un comparto legato al lusso, di nicchia appunto. Ora sono colpiti dalla crisi e i clienti vanno in Veneto. Ma prima, grazie alla globalizzazione, avevano guadagnato moltissimo.

Abbiamo parlato dei nuovi artigiani stranieri: e gli italiani?

Purtroppo italiani e milanesi abbandonano il settore. La colpa, in gran parte, è degli artigiani stessi. Perché non sono riusciti a creare una metafisica dell’artigianato e non fanno nulla per attrarre i giovani. Dovrebbero essere più attivi, far capire ai ragazzi che l’artigianato offre una buona carriera. Chiaro che ci sono anche delle responsabilità degli intellettuali e delle famiglie di classe media, se oggi il lavoro manuale è visto come qualcosa di poco nobile. Quando i genitori saranno contenti di avere un figlio che non si laurea e fa l’idraulico o il restauratore di mobili, allora saremo una società migliore. Il mito della laurea ci sta uccidendo.

 

Eppure si continua a ripetere che l’Italia produce pochi laureati…

Meno male! Ciò che fa lo sviluppo e la crescita economica di un paese è l’istruzione tecnica-professionale, non la laurea fine a sé stessa.

 

C’è chi dice che l’artigianato deve puntare sulla tradizione e chi dice che deve innovarsi: con chi si schiera lei?

Mantenere la tradizione è già di per sé qualcosa d’innovativo. Uno che fa l’artigiano cosa vuole innovare? Una volta che hai una macchina da cucire elettrica al posto di una a pedali il gioco è già finito. Ripeto, conservare la tradizione è già una grande innovazione in un mondo che tutto distrugge. Infatti la Regione Lombardia fa moltissimo per le botteghe storiche.

 

Professore, ma lei ci andrà all’Artigiano in Fiera?

Bisogna battere il record dello scorso anno: tre milioni di visitatori… Ci farò un salto di sicuro. Non so se si riuscirà a superare i numeri dello scorso anno, ma sono fiducioso. Ogni anno l’Artigiano in Fiera batte record su record, quindi penso sia un obiettivo fattibile.

(Marco Guidi)

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