Sono molte le occasioni in cui si ripete – e giustamente – che il modello di governo consolidatosi in Lombardia si ispira al principio di sussidiarietà e che tale modello anzitutto riconosce e valorizza una ricca e lunga tradizione di opere sociali appartenenti alla storia dei lombardi.

È indubbio: questa regione, come poche altre aree del Paese ha conosciuto una straordinaria vivacità di intrapresa sociale, che ha generato un welfare capillare ed efficiente, sviluppatosi prima, durante e – quasi – nonostante il parallelo costituirsi del sistema di protezione universalistico tipico degli stati europei del XIX e XX secolo.



Ma qual è la storia di tale intrapresa? Quali sono i suoi tratti caratteristici? Si può parlare di un welfare e di un modello di sviluppo economico e sociale propriamente lombardi? Spesso si citano solo poche, straordinarie esperienze, quali l’Ospedale Maggiore Ca’ Granda o la Cariplo e poco altro. Sembra, infatti mancare un racconto sintetico e completo di questa storia dell’assistenza, dell’istruzione e della sanità. E ciò nonostante la letteratura scientifica settoriale abbia prodotto diverse riflessioni, anche autorevoli e siano a disposizione fonti statistiche importanti.



È a partire da queste considerazioni che l’Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia (IReR) ha coinvolto studiosi di storia economica, sociale e contemporanea degli atenei lombardi in un lavoro di ricerca che vede ora la pubblicazione del libro Far bene e fare il bene. Interpretazioni e materiali per una storia del welfare lombardo (a cura di A. Colombo, ed. Guerini e Associati).

Nella sua prima parte il volume offre contributi di sintesi che documentano le radici e lo sviluppo dei principali settori dell’intrapresa sociale, delineando alcuni caratteri del “fare” lombardo rintracciati nelle testimonianze della storia medievale, moderna e contemporanea. La seconda parte invece raccoglie per la prima volta una vasta documentazione statistica che permette di avere un quadro completo della dimensione quantitativa dell’intrapresa sociale lombarda tra Ottocento e Novecento. Vengono infatti presentate le fondamentali fonti statistiche e riportati i dati che si riferiscono alla sanità, all’assistenza e all’educazione a livello provinciale e regionale, offrendo pure un confronto con i dati delle altre regioni.



“Far bene e fare il bene”. È esattamente questo il carattere peculiare dell’agire operoso di quelle genti che hanno abitato e mutato questa regione. Dal complesso della ricerca si evince che in Lombardia sviluppo e solidarietà vanno assieme, così che nella pratica si è realizzato, non senza difficoltà ed eccezioni, un modello di sviluppo economico e sociale che non è riconducibile al paradigma del capitalismo anglosassone o rivoluzionario. Il dinamismo sociale della storia lombarda sembra sostanzialmente sottrarsi alle logiche dialettiche dei padroni contro gli operai, della produttività che comporta emarginazione e, quindi, doverosa assistenza da “aggiungere”. In sintesi: della crescita inconciliabile col welfare. La Lombardia è testimone di uno sviluppo diverso, che la storiografia non ha ancora seriamente e sinteticamente affrontato, spesso perché accecata da paradigmi ideologici. Invece questa ricerca riporta l’attenzione ad uno sviluppo efficiente e solidale, che non distingue tra distribuzione e creazione di ricchezza, che non implica necessariamente lo sfruttamento del lavoro, ma che ha certo le sue radici in una concezione integralmente cristiana del proprio operare nel mondo.

 

La stessa concezione del pubblico e del privato come fattori non contraddittori anche se a volte conflittuali è di certo peculiare del “fare” lombardo. Molti sono gli esempi che mostrano quale ruolo avesse la società civile: essa individuava i bisogni, quindi definiva i fini del bene comune, fondava le istituzioni e le gestiva. Non è l’esternalizzazione dei servizi che caratterizza l’esperienza storica del welfare lombardo, bensì la società civile appare attiva, precede il pubblico, stando permanentemente attenta a cogliere con intelligenza il bisogno reale, indiziandolo poi come fine dell’agire proprio e di quello pubblico.

 

In questo senso la Lombardia si è storicamente distinta come territorialità che vuole essere politica. E lo si vede pure nel modo in cui ha concepito il proprio rapporto con lo Stato. Il regionalismo politico delle migliori voci lombarde non si è attuato come rivendicazione di una autonomia, bensì come una certa disponibilità a delineare una nuova concezione della statualità in chiave regionalistica. «La Regione può ancora salvare lo Stato, se lo Stato si vuole salvare» (affermava Filippo Turati nel 1919). In modo diretto e indiretto, per mezzo della sua attività economica, il “fare” lombardo ha saputo e sa ancora produrre sfide istituzionali per l’intero Paese.

 

È una lunga e ricca storia quella del welfare lombardo. E proprio per poter comprendere questa storia Far bene e fare il bene risulta essere, grazie alla mole di dati che offre e alle interpretazioni sintetiche che propone, un iniziale ma indispensabile strumento.

 

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