3 anni di lavori, 20 milioni di euro, 80 operai, 8.200 mq di superficie, 400 opere: questi i numeri che segnano la nascita del tanto atteso Museo del Novecento che ha aperto le porte in una Milano innevata. Il Museo sorge nel cuore della città, in Piazza del Duomo, all’interno degli ambienti del Palazzo dell’Arengario, storica costruzione degli anni Trenta, già danneggiata dai bombardamenti del 1942 e da allora mai più ricostruita. Oggi essa vede una vera e propria rinascita grazie all’intervento di ristrutturazione e riorganizzazione degli spazi curato dallo studio dell’architetto Italo Rota.
“Un’installazione, non un’architettura…..un’installazione per attivare il b-side di Piazza del Duomo che ha sempre vissuto dell’eterno successo della Galleria” , con queste parole Italo Rota descrive la struttura del Museo, che oggi riafferma l’importanza di quel lato della Piazza rimasto per anni inattivo e nascosto. L’Arengario ha mantenuto la sua sobria struttura esterna ma gli spazi interni sono stati completamente rivoluzionati, creando soluzioni funzionali ma allo stesso tempo anche di forte impatto estetico. La grande scalinata elicoidale che accoglie lo spettatore all’ingresso del Museo, si snoda lungo le pareti del Palazzo e crea un percorso “iniziatico” che conduce il visitatore dal livello della metropolitana fino alla suggestiva terrazza sul Duomo. Le ampie vetrate che si affacciano sulla Piazza permettono anche al passante di rimirare alcune opere della Raccolta, creando così un dialogo e un’interazione con la città: il Museo entra nella città e dialoga con essa.
Ma non si tratta di un dialogo unilaterale perché anche il visitatore, percorrendo i corridoi, salendo le scale mobili o semplicemente camminando nelle sale del Museo, è attratto dagli scorci più ignoti e meravigliosi della città. Le guglie del Duomo, le mura di Palazzo Reale, il campanile di S. Gottardo in corte e la torre del Castello Sforzesco si scorgono dalle grandi vetrate del Museo che diventa così luogo privilegiato in cui la bellezza della città milanese si mescola con l’imponenza dei capolavori esposti.
Le 400 opere che costituiscono il Museo, provengono dalle Civiche Raccolte artistiche del Comune di Milano che si sono arricchite grazie ai numerosi lasciti di collezionisti privati, divenendo così espressione delle grandi Avanguardie artistiche del XX° secolo: dal futurismo all’arte informale e concettuale, dall’astrattismo fino all’arte povera di Boetti, Kounellis e Merz. Il percorso complesso ed articolato delle opere del Museo è stato studiato da un comitato scientifico di altissimo livello, presieduto dal Direttore Centrale della Cultura Massimo Accarisi e dal Direttore del Settore musei del Comune di Milano, Claudio Salsi e coordinato da Marina Pugliese, che è stata eletta direttrice del Museo del ‘900, durante la cerimonia di apertura.
Il percorso espositivo prende il via dal Quarto Stato, la monumentale tela di Pellizza da Volpedo. L’opera dipinta tra il 1898 e il 1902 fu acquistata per pubblica sottoscrizione dal Comune di Milano nel 1920 ed è il risultato finale di un processo creativo durato quasi dieci anni (il primo bozzetto risale al 1891, la seconda versione della Fiumana, oggi conservata alla Pinacoteca di Brera, è del 1896). La scelta di aprire il Museo con questo quadro ha sicuramente un che di rivoluzionario, in quanto, date le sue dimensioni museali, il suo riferimento ai modelli della grande pittura antica (come la raffaellesca Scuola di Atene che Pellizza ebbe modo di studiare alla Pinacoteca di Brera) e la sua moderna tecnica esecutiva, rappresenta una dichiarata protesta contro i principi del collezionismo borghese del Novecento milanese.
Il percorso procede con un’ampia sezione dedicata alle Avanguardie Internazionali che raccoglie opere provenienti dalla collezione Jucker: si tratta di quadri di piccolo formato ma di qualità elevata, che spaziano dall’impressionismo, alla metafisica al futurismo.
La prima vera sala del Museo detta “delle colonne” è interamente dedicata ad Umberto Boccioni e racchiude una collezione di opere davvero unica: dagli studi per Stati d’animo, alla scultura Forme uniche della continuità dello spazio, fino alla tela intitolata Elasticità, manifesto pittorico del Movimento Futurista. La scelta di dedicare una sala monografica a Boccioni è innanzitutto dovuta al fatto che egli è l’artista principale di questa Avanguardia ma è soprattutto quello che più degli altri ebbe un rapporto privilegiato con la città di Milano, nella quale visse dal 1908 fino alla sua morte (1916).
Nelle sale successive si prosegue con la sezione dedicata al Futurismo con opere di artisti come Giacomo Balla, Carlo Carrà, Gino Severini, Ardengo Soffici, Achille Funi, Fortunato Depero. Le successive sale monografiche sono dedicate a Giorgio Morandi, Arturo Martini e Giorgio De Chirico e realizzate con pezzi derivanti in gran parte da collezioni private, in primis quella dei coniugi Marieda di Stefano e Antonio Boschi.
Il secondo livello del Museo si apre con le opere degli artisti italiani degli anni Venti e Trenta: Mario Sironi, Felice Casorati, Piero Marussig; seguono l’Arte Monumentale e Anti-Novecento con opere di Renato Birolli, Aligi Sassu, Massimo Campigli, e Filippo De Pisis. Chiude il secondo piano del Museo la sezione dedicata a Fausto Melotti.
A Lucio Fontana è invece dedicato il salone della Torre dell’Arengario, la parte più alta del Museo alla quale si accede tramite una grande scala mobile. La monumentale opera che sovrasta le scale è un trittico di rame che Fontana realizzò di ritorno da New York nel 1962 (il titolo dell’opera è infatti Concetto Spaziale, New York 10): il metallo è stato squarciato con grandi tagli verticali che ricordano le forme dei grattacieli newyorkesi. La sala di Lucio Fontana è completamente circondata da pareti vetrate che offrono una visione a 180° gradi della Piazza Duomo, ma soprattutto l’intera stanza è stata concepita come un’opera ambientale capace di allestire il maestoso soffitto, che è lo stesso che Fontana realizzò nel 1956 nell’hotel del Golfo di Procchio all’Isola d’Elba. Oltre alla splendida Deposizione del 1955, una ceramica che rientra nella serie di lavori a tematica religiosa realizzati dall’artista nei tardi anni Venti, in questo piano si possono ammirare i primi Buchi o Concetti Spaziali: monocromi in cui la tela è animata prima da forature, poi dall’inserimento di piccole “pietre” vitree che accentuano il carattere barocco e dinamico della superficie pittorica.
Nel piccolo soppalco che sovrasta la sala si trova l’imponente struttura al neon che Fontana realizzò per la IX Biennale di Milano: si tratta di una delle più impegnative installazioni ambientali realizzate dall’artista con il neon. E’ un arabesco di luce fluorescente, composto da decine di segmenti tubolari piegati a mano che si snoda per cento metri sospesi con cavi d’acciaio. Il colore blu scuro del soffitto contrasta con la luce potentissima emanata dal neon creando un effetto scenografico di grande impatto, e facendo dell’installazione la “ciliegina sulla torta” del Museo.
Concludono il percorso le opere degli artisti dell’Arte Povera introdotti dalla sala dedicata a Luciano Fabro in cui onore è stato ricreato l’ambiente Habitat esposto al PAC nel 1980. Le sale di questa sezione ospitano le opere di Pier Paolo Calzolari, Mario Merz, Giulio Paolini, Giovanni Anselmo e Gilberto Zorio. Domina la sezione dell’Arte Povera la splendida biro di Boetti (100 x 770 cm) intitolata I sei sensi che si estende per la lunghezza di undici pannelli.
La visita al Museo del Novecento è un vero e proprio tour nella storia dell’arte del secolo scorso, un percorso ritmato dal continuo collegamento visivo e culturale con la città di Milano, che da oggi può finalmente dare il via a quello che sarà il percorso di rinnovamento culturale che cambierà il volto della città in vista dell’Expo 2015.