Lunedì 26 aprile, al Piccolo Teatro di Milano, verrà presentato alla città l’Expo 2015. La presidente, Diana Bracco, l’amministratore delegato della società di gestione, Lucio Stanca, e la loro squadra diranno come funzionerà il grande evento che ormai si avvicina.

Dopo di che il calendario si farà sempre più incalzante: il 30, a Parigi, si presenterà ufficialmente al Bie (Bureau International des Expositions) il dossier Milano 2015 (già anticipato domani al suo presidente, Vincent Loscertales, con una conference call). Poi tutta l’attenzione si concentrerà su Shanghai dove, il primo maggio, partirà l’Expo che durerà fino all’ottobre successivo.



Quindi è molto probabile che già dal prossimo giugno, superata la fase del lancio di Shanghai e venuto meno l’effetto novità, l’attenzione internazionale si concentrerà su quello che sta facendo Milano. Ci si chiederà quale tipo di esposizione intende preparare, a che punto è del suo percorso.

Sono domande giuste, logiche, perfettamente legittime. Ma che creano anche qualche imbarazzo qui da noi. Si è perso molto tempo in dibattiti e litigi di ogni tipo: prima è stato buttato via un anno con la vicenda di Paolo Glisenti; poi mesi e mesi se ne sono andati nella polemica sul doppio ruolo (e doppio stipendio) di Lucio Stanca, che ha conservato anche la sua poltrona di parlamentare; altre energie sono andate disperse in polemiche politiche, mentre il capitolo dei finanziamenti, dei soldi che devono essere investiti per creare e far funzionare questa kermesse, non è ancora stato scritto nella sua versione definitiva, nel senso che non si sa su quali mezzi si potrà alla fine contare davvero.



Tutto questo ha prodotto un primo effetto: la città si è disamorata dell’Expo. Milano, si sa, non è portata alla cottarelle giovanili, a improvvisi entusiasmi: è una metropoli pragmatica, che bada al sodo e che crede nelle cose quando le vede crescere e realizzarsi concretamente. Così non è stato e non è per l’Expo. E dunque la gente ha incominciato a guardare all’evento con distacco, se ne è allontanata.

Il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, dice ai suoi collaboratori che l’Expo incontra un gradimento inversamente proporzionale alla distanza dalla Madonnina: quando parla della manifestazione a 150 chilometri da Milano, è accolto con entusiasmo; a mano a mano che si avvicina il favore decresce, fin quasi a scemare del tutto in piazza del Duomo.



Quindi ci vuole un cambiamento di passo. Per prima cosa, bisogna avere ben chiaro che tipo di Expo si intende fare e, successivamente, spiegarlo bene alla gente. Milano verrà dopo Shanghai e non può neppure sognare di competere con quanto sta per mettere in campo la città cinese: qualcosa di gigantesco, finanziato praticamente senza limiti, tutto teso a riconfermare simbolicamente (dopo il successo delle Olimpiadi di Pechino) il ruolo di grande potenza raggiunto ormai dalla Repubblica Popolare che oggi ha una crescita economica vicina al 12% annuo. Milano, se vuole competere sullo stesso piano di quel gigante, rischia solo di farsi del male.

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Dunque deve trovare un’altra strada. Nell’era di internet, le tradizionali esposizioni non hanno più molto senso. Bisogna escogitare qualcosa di diverso per affrontare il tema “Nutrire la terra” che è appunto quello assegnato all’Expo 2015. Un’idea c’è stata, elaborata dal gruppo dei cinque architetti coordinati dallo svizzero Jacques Herzog con i quali ha collaborato anche Carlin Petrini.

 

L’idea è quella degli orti: ogni paese espositore dovrebbe riprodurre a Milano il proprio habitat, le proprie colture caratteristiche. E’ una proposta interessante, certamente innovativa. Ma siamo sicuri che milioni di persone accorreranno da tutto il mondo per vedere le differenze fra un orto venezuelano e uno thailandese? Decisamente è opportuno lavorare ancora sui contenuti dell’Expo. E il 26 si vedrà se e come è stato fatto.

 

Già le stime sull’affluenza sono state riviste al ribasso, a causa della crisi economica. Bisogna a tutti i costi evitare che Milano faccia la fine di Hannover, che fu un po’ un flop. Per riuscirci occorrono idee chiare non solo sui contenuti, ma anche su chi e come dovrà creare e gestire la manifestazione.

 

Secondo un parere assai diffuso, la squadra attuale non è ancora quella ideale. Manca una figura operativa concreta, che sappia gestire un sistema complesso e rapportarsi con i veri interlocutori dell’esposizione, cioè gli enti e le istituzioni territoriali, i poteri locali. Se questo è vero, allora è meglio non indugiare per individuare questo personaggio. Fra poche settimane, quando i riflettori da Shanghai cominceranno a puntare su Milano, è bene che la città si faccia trovare pronta.

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