TEATRO ALLA SCALA – CAVALLERIA RUSTICANA DI PIETRO MASCAGNI – Il 16 gennaio andrà in scena alla Scala la Prima di “Cavalleria rusticana”, opera di Pietro Mascagni (1863-1945) tratta da una novella di Giovanni Verga.

L’epoca di composizione è quella del Verismo, che si propone di  innestare sul realismo romantico la robustezza della vita contadina e regionale. La vicenda si svolge in un atto unico, il giorno di Pasqua, in un paese della Sicilia: il carrettiere compar Alfio, informato dalla gelosia di Santuzza, che sua moglie Lola lo tradisce con Turiddu, lo sfida a duello e lo uccide.



Il sipario si apre sulla piazza del paese ancora deserta. Sono le prime ore del mattino e si sente da lontano il canto alternato delle donne e degli uomini:

Gli aranci olezzano/ Sui verdi margini,/ Cantan le allodole/ Tra i mirti in fior.
Tempo è si mormori/ Da ognuno il tenero/ Canto che i palpiti/ Raddoppia al cor.
Cessin le rustiche /  Opre: la Vergine/ Serena allietasi / Del Salvator.



In mezzo al campo,/ Tra le spighe d’oro/ Giunge il rumor/ Delle vostre spole.
Noi stanchi/ Riposando dal lavoro/ A voi pensiam./ O belle occhi-di-sole./
A voi corriamo, / Come vola l’augello / Al suo richiamo.

I versi hanno la cadenza leggera del canto popolare, con ruoli ben distinti: le voci femminili  cantano i profumi e i colori della vita che rinasce e che risveglia l’amore, insieme alla devozione alla Vergine; le voci maschili, più pacate, in mezzo alla fatica del lavoro corrono con il pensiero al riposo e alle spose.

La musica traduce la limpidezza e il chiarore del mattino pasquale, quando tutto preannuncia la gioia, l’attesa della Messa solenne e del pranzo festivo.
Da lì a poco le stesse voci intoneranno il celebre e potente Inneggiamo, il Signore è risorto.



Nessuno sa che sarà una Pasqua di sangue, anche se nel preludio che anticipa i motivi dell’opera  le note dei violini sono livide e Turiddu canta fuori scena La Siciliana, una poesia in dialetto che introduce il tema della morte.

La genialità musicale di Mascagni un buon terreno per esercitarsi in una vicenda governata da impulsi elementari e rudi: il mondo contadino di fine Ottocento rivive con azioni brusche e istintive, con la sua coscienza  del bene e del male, con la sua capacità di tradire e di pentirsi.

È quello un mondo in cui le passioni anche torbide come la gelosia, sono ben definite e chiamate con il loro nome e i guai che esse provocano vengono rappresentati con efficacia e decisamente deprecati.

Lucia, la madre di Turiddu, apostrofa Santuzza che le confida il suo tormento per avergli ceduto e per essere stata soppiantata da Lola nel cuore di lui: Miseri noi, / Che cosa vieni a dirmi, / in questa santo giorno? E glielo dice con le note gravi del contralto, che segnalano tutta la riprovazione, ma anche la pietà per la donna violata: Aiutatela voi, / Santa Maria!

E Turiddu nella scena dell’addio alla madre diviene capace di una profondità di sentire nei confronti di Santuzza, di sua madre e anche di se stesso che lo riscatta e lo rende uomo; l’orchestra ne sottolinea la trasformazione con cupa riflessività:

Mamma, / Quel vino è generoso, e certo / Oggi troppi bicchieri / Ne ho tracannati… / Vado fuori all’aperto. / Ma prima voglio / Che mi benedite / Come quel giorno / Che partii soldato. / E poi… mamma…sentite… / S’io … non tornassi… / Voi dovrete fare / Da madre a Santa, / Ch’io le avea giurato / Di condurla all’altare.

Il successo dell’opera di Mascagni, dalla prima rappresentazione nel 1890 a Roma, continua fino ad oggi in tutto il mondo. Parte del  suo segreto è la semplificazione realizzata dalla poetica verista che ispira libretto e musica nel complesso mondo del melodramma ottocentesco.

Il risultato è la creazione non di una drammaturgia nuova, ma la riduzione di ambienti e caratteri in un ritmo scenico serrato ed essenziale. Forse anche per questo "Cavalleria rusticana" è opera apprezzata anche dai non specialisti.

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