Da lunedì il Comune di Milano ospita la Mostra sulla crisi e sul lavoro preparata dalla Fondazione per la sussidiarietà e presentata all’ultimo Meeting di Rimini: “Un impiego per ciascuno, ognuno al suo lavoro. Dentro la crisi, oltre la crisi”. Il sindaco Letizia Moratti, il rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, il presidente della Banca Popolare di Milano, Massimo Ponzellini, insieme al presidente della Fondazione per la sussidiarietà, Giorgio Vittadini, l’hanno inaugurata insieme, condividendo una provocazione che è ormai stata largamente accettata. “Bisogna tornare a una finanza che metta l’uomo al centro”.



Le presentazioni e le recensioni su questa Mostra sono già state fatte ampiamente durante il Meeting di Rimini, sottolineando l’impegno dei giovani studenti di Economia della Cattolica e della Bocconi. Vale la pena ripetersi su due concetti fondamentali della Mostra: la documentazione delle scelte finanziarie degli ultimi anni, che hanno avuto un peso devastante sull’economia reale; la questione antropologica che riguarda tutti noi che viviamo nel benessere delle società occidentali e che sembriamo ormai ingabbiati in una “diminuzione di desiderio” di crescere, di costruire, di intraprendere e di lavorare.



Le scansioni di questa crisi, esplosa nell’autunno del 2008 e che ancora frena la ripresa e lo sviluppo, fanno ritenere che alcuni meccanismi finanziari erano mirati soprattutto verso un guadagno immediato, a breve termine, su una supervalutazione della rendita rispetto alla dura lezione di chi percorre la strada del profitto attraverso l’impresa. In altri termini si è trattato di osservare in controluce nuovi comportamenti umani che ne hanno sostituiti altri e che hanno provocato  una fase di recessione.

La questione investe direttamente una città come Milano, che è sempre stata una città distintasi nella sua storia per la vocazione del "fare", per una cultura multi-secolare di impresa e di lavoro. Molti scrittori, uomini d’arte e di cultura hanno trovato anche bella Milano, ma la caratteristica di questa città è quella di venirci a vivere per fare e produrre. Con questa sua "anima" come ha reagito Milano alla grande crisi globale?



Pur contaminata dalle mode di finanziarizzazione, Milano se l’è cavata bene, con il suo solito grande buon senso, con il suo pragmatismo ideale, ricordando che il motto "i soldi fanno soldi" ha un respiro breve e nessuna autentica prospettiva reale. La grande forza di Milano è sempre stata quella di salvaguardare tenacemente la propria tradizione e nello stesso tempo di innovare nel tempo, con progetti a lungo periodo, con prospettive di ampio respiro, in modo che le stesse innovazione, magari recuperate in tutto il mondo, si consolidino nel tempo come tradizione.

Non a caso il presidente di Bpm, Massimo Ponzellini, abbia tratteggiato la crisi con molte città che si sono quasi barricate nel loro isolamento, mentre Milano è rimasta una "città-stato" aperta e sempre pronta per trasmettere e ricevere sviluppo. Quindi anche durante questa crisi globale, pur subendone gli inevitabili contraccolpi, Milano ha mantenuto intatta la sua anima e la sua vocazione.

In definitiva ha rispettato scrupolosamente  il suo "Rito ambrosiano". Sono i dati che lo confermano. Il peso che Milano e il suo territorio provinciale hanno sull’economia nazionale è sempre più determinante. E se si deve pensare a un motore realistico per la ripresa e lo sviluppo italiano, Milano diventa imprescindibile.

Non è un caso che gli economisti e gli storici dell’economia hanno oramai sostituito la vecchia immagine del "triangolo industriale" (Milano-Genova-Torino) con il concetto di "megalopoli padana"  interpretata da Milano, capitale della finanza, dell’economia, dei servizi, ma anche centro strategico di una vasta zona che comincia ad avere una cultura comune, basata sulla logica della società post-industriale che è in grado di sfidare, con la sua grande creatività, la modernità in fase globalizzata.

Il connubio tra tradizione e innovazione coniato a Milano ha fatto sì che non ci si chiudesse di fronte ai nuovi meccanismi finanziari, ma nello stesso tempo che non si dimenticasse mai il peso determinante dell’economia reale. E se si guarda con attenzione ai dati che si analizzano si può vedere chiaramente che il settore manifatturiero, in tutto il milanese, ha un peso rilevante e oggi, pur nel perdurare della crisi, comincia a mostrare segni positivi, particolarmente in settori come la chimica e la meccanica. In fondo Milano ha sempre saputo adattarsi a periodi difficili per poi ritornare ai livelli di eccellenza. Se qualcuno ricorda il lungo periodo della deindustrializzazione, cominciata alla metà degli anni Settanta, potrà ricordar4e anche il successivo boom del made in Italy. In definitiva le crisi non spaventano Milano, anzi ne
stimolano la creatività.

Può accadere anche nel mezzo di questa lunga crisi? Se uno dei problemi principali della crisi va visto sotto il profilo antropologico, come un marcato calo del desiderio, come una resa di fronte alla narcosi di una società di "sazi e disperati", si può dire che Milano abbia gli anticorpi adatti a vincere la sua sfida. La città ha nel suo "dna" la cultura del fare e non si mai rassegnata anche nei momenti più cupi della sua storia.
Quindi Milano, oltre agli accorgimenti necessari per contenere la crisi globale, deve solo9 non dimenticare mai il suo "Rito ambrosiano".