«Nonostante le difficoltà, Milano sta cambiando sotto tutti gli aspetti. E nulla è più adatto a esprimere questa trasformazione in atto, degli immensi cantieri che entro due o tre anni muteranno il volto della città. Per essere sostituiti da altri cantieri che si apriranno nel frattempo». Per il presidente della Triennale, Davide Rampello, la classifica del New York Times che ha premiato la metropoli lombarda ha colto perfettamente questo processo. La Milano che ha ispirato il quadro futurista «La città che sale» di Umberto Boccioni non ha arrestato la sua spinta propulsiva. Nell’intervista per Ilsussidiario.net, Rampello illustra inoltre il «metodo Triennale», con cui ha riportato al successo l’istituzione di viale Alemagna, e in che modo può essere applicato anche alla città di Milano.



Non tutti i commentatori italiani hanno condiviso il riconoscimento newyorkese che ha premiato Milano. Lei Rampello che cosa ne pensa?

Che coglie quello che sta avvenendo nella nostra città. Basta guardare alla trasformazione del paesaggio architettonico urbano. Sono stati aperti dei cantieri importantissimi, che fra due o tre anni si concluderanno, e altri apriranno nel frattempo. Il riassetto urbanistico nella zona Varesine/Garibaldi, l’intervento di Gino Valle tra Fiera di Milano e Portello, il grande progetto della Bovisa, sono tre segnali del fatto che la città sta veramente mutando aspetto.



Quali altre novità vede nella vita culturale della città?

Per esempio l’inaugurazione del Museo del Novecento, che è un segno molto importante nel centro della città e valorizza il migliore patrimonio esistente relativo al Novecento italiano. Mettendo in luce finalmente una serie di protagonisti che erano stati trascurati, e che danno veramente la misura, insieme alle opere dei grandi maestri, dell’importanza di questo periodo. Ma Milano oggi si distingue anche per il design, la moda, e soprattutto l’editoria che sotto la Madonnina ha una concentrazione non paragonabile a nessuna altra città al mondo. Tutte realtà che spingono verso un mutamento.



Che cosa manca a Milano per diventare la capitale europea del design?

 

Nulla, perché lo è già. Non c’è storia. Milano è la capitale non solamente perché ci sono gli artisti, ma perché governa un territorio che ospita le aziende, piccole medie e grandi, che producono il migliore design al mondo. Dove esistono ancora gli artigiani, dove esiste una tecnologia costantemente avanzata, e dove comunque devono venire tutti gli art designer del mondo, se vogliono realizzare prodotti di alta qualità. Per non parlare del Salone del mobile, l’evento culturale più importante al mondo nel campo del design. Oltre che la rappresentazione più forte in assoluto della creatività, della progettualità e dell’ideazione. Sfido chiunque a individuare un’altra vetrina al mondo più significativa di questa. La fiera di Basilea per esempio è limitata all’arte. Ma anche l’imprenditore fa cultura, proprio come l’architetto e il designer.

 

 

In che senso?

 

Perché l’imprenditore è un uomo che ha visione, coraggio, creatività, che crede in se stesso e nelle sue idee. Questa è cultura. L’impresa, l’agricoltura, la pittura, la letteratura e lo sport sono tutte ugualmente cultura. A una condizione: che tutte queste attività dell’uomo siano svolte per l’uomo, per migliorare l’uomo, per farlo progredire, per fargli progettare mondi sempre migliori.

 

 

Che cosa si può fare per fermare la fuga all’estero dei cervelli milanesi?

 

Innanzitutto, bisogna fare emerge i talenti di Milano, bisogna sapere chi sono e cercare di creare un ambito favorevole perché possano evidenziarsi ed emergere. L’Expo può essere una grande opportunità per la valorizzazione di queste potenzialità.

 

 

Che cosa si può fare perché l’Expo non sia un’opportunità sprecata?

 

Il tema dell’Expo va riempito di senso e contenuti. Le infrastrutture sono importanti, ma l’Expo non si riduce a questo, e l’aspetto decisivo non può essere affidato alla politica. Spetta a un comitato di creativi farsi carico di questo svolgimento.

 

 

I risultati raggiunti dalla Triennale sono il frutto di circostanze favorevoli o di un metodo?

 

Sono il frutto di una linea editoriale perseguita con costanza. Le circostanze del resto sono state in realtà sfavorevoli. Da quando sono in carica, ogni anno il ministero ci ha tagliato i fondi rispetto alle previsioni. Proprio per questo è stato decisivo un metodo, che consiste nella costante attenzione alle cose, una continua rilettura, adeguamento e ideazione. Come è stato applicato alla Triennale, questo metodo può essere rivolto all’intera città.

 

 

In concreto come è intervenuto per rilanciare il ruolo della Triennale?

 

Il mio impegno si è sviluppato lungo più direttrici. In primo luogo, facendo restaurare e riproponendo tutti gli spazi della Triennale. Grazie a Michele De Lucchi, questo palazzo si è rianimato ed è stato riportato alla meraviglia della sua architettura così nitida e solare, come era stata progettata da Giovanni Muzio. La Triennale ha degli spazi formidabili per ampiezza, duttilità, qualità della luce, posizione, paesaggio che si ammira dalle finestre. Inoltre ho puntato su una serie di spazi, come l’esposizione Material connection, che ogni mese presenta circa 40 materiali innovativi provenienti dall’ambito del legno, del ferro, delle plastiche, del tessuto, della carta, del riciclo e del rinnovo. O la libreria, che fattura un milione e 200mila euro l’anno ed è un punto di riferimento per l’intero palazzo, e il ristorante.

 

 

E in che modo ha ripensato questi spazi?

 

Concependoli non come semplici servizi, ma come offerte culturali. Comprare un libro equivale a guardare una buona mostra, sentire un convegno o mangiare bene insieme agli amici. Sono tutti gesti che fanno parte della cultura del luogo. Lo stesso discorso vale anche per i nuovi spazi, come la biblioteca e gli archivi, dove finalmente è possibile studiare la Triennale e continuare nella ricerca. O per la comunicazione articolata di linguaggi artistici come fotografia, videoarte, design, architettura, rappresentazione del territorio, dibattiti.

 

(Pietro Vernizzi)

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