Milano è un ambiente ancora favorevole ai giovani talenti, agli artisti poveri di risorse, ma ricchi di idee? La “fuga all’estero” è davvero l’unico modo per affermarsi? La città è in declino o ha ragione il New York Times a indicarla come una delle prime cinque città al mondo da visitare nel 2011? Il dibattito sullo stato della cultura a Milano aperto da Luca Doninelli su IlSussidiario.net continua con il punto di vista di Arnoldo Mosca Mondadori. Pronipote dell’editore Arnoldo, è il Presidente del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dall’aprile dell’anno scorso, dopo una lunga esperienza nel campo dell’editoria e della televisione.



«Tra i 1.500 allievi che studiano nel prestigioso Conservatorio di Milano ci sono grandissimi talenti. Verso di loro però non c’è molta attenzione. Per questo la mia priorità è quella di accompagnarli e di non lasciarli smarriti e abbandonati a sé stessi. Mi torna sempre in mente un giovane trombettista. Era geniale, un talento puro. Il fatto che abbia abbandonato a mio parere è una sconfitta per tutti».

Secondo lei le istituzioni musicali milanesi sanno ancora fare rete tra loro?



Su questo c’è ancora molto da lavorare, ma lo ritengo un punto fondamentale. È ora che cadano i vecchi  steccati per il bene della città. Sto lavorando per ritrovare le connessioni necessarie tra il Conservatorio, la Scala, i Pomeriggi Musicali, la Scuola Civica…
I giovani devono avere più occasioni per suonare, in Italia sono troppo poche, d’altronde abbiamo soltanto 13 orchestre stabili. Un tempo, ad esempio, i Pomeriggi musicali facevano le audizioni in Conservatorio. Ora non è più così, ma abbiamo intenzione di ripristinarle e di ricostruire questi punti di contatto vitali.

Non sono perciò le eccellenze a mancare in questa città?



Assolutamente no. C’è un grande lavoro dietro le quinte portato avanti da artisti che fanno la differenza e da giovani pieni di passione. Il grande “circo” degli eventi, del marketing, degli sponsor, del profitto subito a ogni costo, rischia però di soffocare certi semi nascosti.

Da dove si può ripartire?

Bisognerebbe alzare le antenne e spostare l’attenzione dai meccanismi di puro mercato a ciò che avviene nel sottosuolo. La “cultura dell’evento” non convince più e penso che abbia favorito la crisi che stiamo vivendo. Non a caso i prezzi crollano e le gallerie d’arte spariscono. Forse però questo vuoto ha una sua verità, è sana e può farci ripartire. L’artista non può essere usato, l’arte esprime esigenze profonde, non è qualcosa da vendere o da mercanteggiare. Certo, questa piccola “rivoluzione” porta con sé una percentuale di rischio.

Cosa intende dire?

Si rischia di perdere il tornaconto immediato, in termini di denaro o di voti, ma questo è inevitabile: serve un altro dio…
Per questo vorrei insistere su un punto: prima che le amministrazioni mettano mano al portafogli e ai budget servirebbe una riflessione, perché senza un pensiero sull’uomo salta tutto. C’è un progetto che, ad esempio, mi è molto caro ed è dedicato ai bambini rom. Mentre la città “sgomberava” i campi, costringendo così questi ragazzi alla vita di strada, il Conservatorio di Milano inaugurava per loro un corso di violino e fisarmonica. Davanti a un clima di guerra come quello che viviamo oggi penso che occorra alzare il tiro. Sono convinto che il concerto finale sarà una grande testimonianza sul valore della persona e ci costringerà a ripensare a noi stessi e a cosa sta diventando la nostra città.

(Carlo Melato)

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