Una piccola e interessantissima mostra allestita alla Biblioteca di via Senato fino al prossimo 27 marzo e collegata a quella più ampia di Palazzo Reale sull’arte islamica, mette a tema i rapporti tra Dante e l’Islam.
L’intento è quello di documentare come la cultura islamica fosse diffusa in tutta l’Europa medievale e come ciò sia testimoniato nella Divina Commedia. La civiltà europea si è formata certamente dall’incontro del cristianesimo con la tradizione greca e romana, ma è stata anche permeata dalle correnti di pensiero ebraico e arabo.
Ai tempi di Dante i rapporti tra mondo cristiano e mondo musulmano erano stretti in tutta l’area mediterranea, a dispetto delle feroci guerre di religione che la insanguinarono.
Nel Duecento due uomini incarnarono quest’opera di contaminazione culturale: Federico II di Svevia, lo stupor mundi, con la sua corte modellata su quelle arabe, e Alfonso X di Castiglia, la cui corte fu il principale luogo di assimilazione, traduzione e trasmissione della filosofia e della scienza dei Mori.
Dante cita molti nomi legati al mondo musulmano: Maometto, il Saladino, Avicenna, Averroè, Brunetto Latini, Pietro Ispano e mostra di conoscere le opere di filosofi e scienziati appartenenti a quella cultura.
La mostra si articola in tre sale, modulate sulle tre cantiche della Commedia: la prima, molto scura, simula il fuoco che arde i dannati, la seconda con un lungo corridoio in penombra introduce al terzo spazio, luminosissimo e aereo.
Nelle sale 35 preziose edizioni illustrate del capolavoro, scelte all’interno del Fondo Dantesco della Biblioteca di via Senato, composto da circa ottocento opere vengono accostate a 22 oggetti di manifattura islamica, provenienti dalle Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco e da altre collezioni, e risalenti in prevalenza ai secoli XII e XIII. In particolare le pagine manoscritte del Corano del XIV secolo, in inchiostro nero, pigmenti e oro stupiscono per la loro fattura artistica, così come la Raccolta di poesie e tavole astronomiche del XIII secolo, appartenenti alla Biblioteca Ambrosiana.
Per quanto riguarda le edizioni dantesche apre la mostra l’incunabolo bresciano del commento alla Commedia di Cristoforo Landino del 1487, che documenta la riscoperta di Dante operata dalla cultura umanistica dopo la polemica contro i trecenteschi detrattori del poeta, l’edizione aldina del 1502 curata da Pietro Bembo, l’edizione cinquecentesca della Crusca del 1595, fino alle edizioni posteriori, dal Seicento all’Ottocento.
Spiccano tra le cose più recenti la copia appartenuta ad Anatole France, le pagine illustrate da Salvador Dalì e la minuscola edizione di Hoepli. Si possono leggere agevolmente anche alcuni pannelli che riportano una cronologia degli avvenimenti più importanti della civiltà medievale e della vita di Dante.
È molto interessante quello in cui sono elencate alcune analogie tra le pie leggende arabe e la Divina Commedia, messe in luce da studiosi come Asin Palacios e Maria Corti: Dante e Maometto narrano in prima persona il loro viaggio, entrambi sono accompagnati da una guida, entrambi vengono fermati da tre fiere.
I testi dettagliano la topografia e l’architettura degli spazi degli inferi, mentre nei due racconti compaiono mari, liquidi, pozze, odori, fiamme, animali; le meschite della città di Dite assomigliano ai castelli di fuoco osservati da Maometto nell’inferno.
Dopo il fuoco, in entrambi gli inferni c’è il ghiaccio: le 24 punizioni fisiche sono simili nei due testi e sono regolate dalla legge del contrappasso, che è enunciata da Dante nello stesso canto in cui incontra Maometto.
La scala, che in Dante ha rilievo fisico e simbolico, è essenziale nei testi islamici. L’elemento della luce, essenziale nel Paradiso, ricorda gli studi di pensatori arabi sulla metafisica della luce.
In tempi in cui la contrapposizione tra mondo occidentale e mondo islamico appare ben lontana dall’essere composta, visitare questa mostra è un’occasione per rendersi conto che in altre epoche, forse meno evolute della nostra da tanti punti di vista, c’è stata in Europa la capacità di confrontarsi con una cultura diversa e di assimilarne elementi non secondari.