Un tentativo di dare una risposta concreta in una realtà economica dominata da enormi problemi relativi al credito. Romano Guerinoni, direttore della Fondazione Welfare Ambrosiano, illustra così il nuovo organismo impegnato a trovare una soluzione alle povertà che affliggono la metropoli lombarda. Dopo l’intervista a Massimo Ferlini, rappresentante nella Fondazione per conto della Camera di Commercio di Milano, ecco un focus sul microcredito, lo strumento principe scelto per venire incontro ai bisogni dei nuovi indigenti.
In una città come Milano, quali sono le povertà più diffuse e difficili da combattere?
Sono le nuove forme di povertà, che riguardano fasce di persone e di lavoratori che prima della crisi vivevano in condizioni normali e che oggi si trovano ad affrontare difficoltà un tempo impensabili. E’ più difficile combattere queste nuove povertà, come quelle dei padri separati o delle donne sole con figli, rispetto alla classica indigenza di homeless ed extracomunitari.
Nei confronti di questi ultimi esiste una prassi di accoglienza consolidata nel tempo, e il loro stesso atteggiamento li rende più facili da individuare e aiutare. I nuovi poveri al contrario si vergognano a chiedere e a dichiarare il loro stato di bisogno. Fino a poco tempo fa infatti erano persone normali e da un giorno all’altro si sono trovate aggredite da una serie di difficoltà economiche.
Per quali ragioni il welfare pubblico non è sufficiente a rispondere a questi bisogni?
Intanto perché le risorse del welfare sono limitate, e per di più ultimamente c’è una tendenza a ridurle. Inoltre sono orientate soprattutto verso le povertà classiche, quelle declamate, conclamate e conosciute. Quindi quest’area di nuova povertà va affrontata anche con strumenti nuovi, e non soltanto con una risposta di carattere pubblico.
Perché ritiene che il microcredito possa risolvere questi problemi?
Di certo non è sufficiente a risolverli, tutt’al più può essere un contributo a farlo. Soprattutto nei confronti di quelle persone che vivono in una situazione di temporanea difficoltà e potrebbero non avere possibilità di uscirne. Oppure sono costrette a indebitarsi, compiendo scelte che poi pesano sull’intera famiglia. Non mi riferisco a persone patologicamente povere, ma a soggetti che fino a poco tempo fa stavano bene.
E che oggi invece hanno dei problemi economici, devono modificare il loro reddito e fare delle scelte professionali di un certo tipo. La possibilità quindi di offrire loro l’accesso al credito a condizioni agevolate può essere una chance. Sicuramente non risolve tutti i problemi, ma è un’opportunità che pensiamo possa essere utile.
Ma perché avete scelto proprio lo strumento del microcredito?
Essendo una fondazione, per statuto non possiamo fornire assistenza. Quello che possiamo fare è mettere in campo delle politiche attive, cioè iniziative che mettano in gioco anche la responsabilità e l’azione delle persone che aiutiamo. Il microcredito, essendo un prestito, presuppone che la persona lo debba restituire e per farlo certamente deve mettere in atto un’azione per uscire dalla sua posizione di difficoltà. Ti offro un salvagente per uscire dalla palude in cui sei finito, e non per consentirti di “galleggiare” nella palude.
Il venir meno di quelle condizioni di sicurezza economica in molti soggetti preclude qualsiasi possibilità di rivolgersi a una banca. Per chi non ha un posto di lavoro a tempo indeterminato e una garanzia di un reddito di un certo tipo, difficilmente è possibile trovare nel sistema bancario e finanziario la possibilità di ottenere credito. La Fondazione interviene quindi per garantire a questi soggetti di avere un’opportunità.
Il problema del credito è anche quello di decidere a chi dare fiducia. Voi come fate a scegliere?
La Fondazione ha messo in atto un processo costituito essenzialmente da una rete di accoglienza, di cui fanno parte i nostri soci e le altre associazioni che hanno aderito all’iniziativa. L’obiettivo è quello di incontrare le persone, accompagnarle, verificare la loro condizione di bisogno e alla fine fornire loro una sorta di fidejussione morale. La Fondazione quindi aggiunge una valutazione tecnica sulla sostenibilità del credito.
A occuparsene è un’associazione di volontariato che si chiama Vobis e che è costituita da ex dipendenti di banche nell’area crediti. Questo ci permette di emettere una garanzia sapendo che la persona è stata accolta ed è accompagnata da un tutor, il quale fornisce una fidejussione morale.
A quel punto entra in gioco una valutazione di sostenibilità, finalizzata a capire in che modo attraverso il microcredito è possibile aiutare la persona a uscire dalla sua situazione di difficoltà, e non invece complicare ulteriormente i suoi problemi economici. La Fondazione fornisce una garanzia dell’80%, con cui la persona va in banca e porta avanti la sua normale pratica creditizia.
Voi vi occuperete anche delle persone che hanno bisogno di un credito per aprire una microimpresa?
Innanzitutto, noi per statuto aiutiamo le persone e non invece le società di capitali. Ci rivolgiamo quindi soltanto a società di persone, ditte individuali, partite Iva e cooperative. Ritengo però che l’accesso al credito in generale, al di là del microcredito di cui ci occupiamo come Fondazione, sia un problema di grande importanza.
E’ una questione molto sentita sul territorio milanese che è fatto di tante piccole e medie imprese, che faticano a ottenere prestiti dalle banche. La Fondazione utilizza quindi un meccanismo di Confidi basato sulla fiducia e sulla garanzia che forniamo noi.
Occorrerebbe però un sistema di Confidi più capace di aiutare la realtà delle piccole e medie imprese. I Confidi già esistenti, gestiti dalle associazioni di categoria, lavorano bene ma non possono rispondere a tutti i soggetti che hanno difficoltà rispetto al credito.
L’intervento della Fondazione Welfare Milano vuole essere quindi un contributo rivolto alle persone, rispetto a un problema generale le cui dimensioni complessive sono enormi.
(Pietro Vernizzi)