“Un’eventuale fusione tra Trenord e Atm creerebbe un monopolio dei trasporti pubblici con conseguenze solo negative. La direzione verso cui dobbiamo andare è quella opposta: aprire il settore alla concorrenza per migliorare la qualità del servizio”. Ad affermarlo è Andrea Boitani, professore di Economia politica all’Università cattolica, nonché consigliere del ministero dei Trasporti per 13 anni consecutivi. Ilsussidiario.net lo ha intervistato sull’ipotesi di fondere Trenord e Atm per creare un unico soggetto in grado di occuparsi dei trasporti urbani e ferroviari nell’intera area metropolitana di Milano. Una decisione che andrebbe nella stessa direzione della fusione tra Ferrovie Nord e la divisione lombarda di Trenitalia, da cui è nata la società Trenord.



Professor Boitani, la fusione tra Trenord e Atm migliorerebbe i trasporti milanesi?

Ciò che occorrerebbe è una riduzione dei costi, il potenziamento dei servizi e una diminuzione della congestione in superficie. Tutto ciò non ha nulla da spartire con la fusione tra Atm e Trenord.

Quale sarebbe quindi il valore della fusione?



Creare un monopolio non contendibile mettendo insieme tre aziende pubbliche, una dello Stato, una della Regione e una del Comune di Milano. Di buono non può venirne proprio nulla: come tutti i monopoli avrebbe infatti un effetto negativo. Aumenterebbe infatti i costi di gestione e peggiorerebbe l’efficienza del servizio.

Ritiene che nel sistema dei trasporti ferroviari vada introdotta maggiore concorrenza?

Sì, e non solo nei trasporti su ferro ma anche in quelli urbani. La legge prevede che vadano effettuate delle gare per l’affidamento dei servizi, cui possa partecipare il numero più alto possibile di soggetti, privati e pubblici. Non si capisce quindi perché la legge non sia applicata. Inoltre le gare dovrebbero riguardare dei lotti relativamente piccoli, non interi blocchi delle dimensioni di una città come Milano, o l’intero sistema ferroviario regionale. Quest’ultima scelta infatti consentirebbe di partecipare soltanto alle grandi società pubbliche.



I sostenitori della fusione portano l’esempio di Parigi, dove esiste un unico operatore e cioè Ratp …

Io al contrario ritengo che il modello che vada seguito sia quello di Londra, dove non esiste nulla di paragonabile a Ratp ma i trasporti funzionano assai meglio che a Parigi e i costi sono significativamente più bassi. L’integrazione nella Tube della City è garantita dalla figura del Transport for London, un grande regolatore pubblico. I servizi di superficie sono gestiti da diverse società e le gare per la metropolitana sono realizzate addirittura linea per linea. Ciò non significa però che a partecipare siano degli operatori-nani: spesso si tratta di grandi compagnie che operano a livello internazionale o player globali. Anche nel campo dei servizi ferroviari i servizi sono gestiti mediante gare, attraverso franchising, i cui titolari sono società private che lavorano in un regime di concorrenza. Nell’intera area di Londra sono presenti diverse aziende, i servizi sono efficienti e capillari e da quando il sistema è quello delle gare pubbliche sono aumentati notevolmente, di pari passo con la crescita dei passeggeri. La Ratp di Parigi non ha ottenuto finora altrettanto successo.

 

Ritiene che lo stesso modello andrebbe importato anche a Milano?

 

Sì, proprio per far prevalere le esigenze del servizio pubblico rispetto a quelle delle singole aziende. Al contrario una fusione tra società porterebbe a un rafforzamento del potere del nuovo operatore e indebolirebbe quello di Comune, Provincia e Regione. Questi tre soggetti sarebbero costretti a rinunciare a un vero potere di controllo, tramite la regolazione, in cambio di un maggiore potere nei consigli di amministrazione. E’ una cultura politica da Iri, vecchia e stantia, degna degli anni ’50 e ’60.

 

In un caso o nell’altro, chi detta le condizioni sono sempre Comune, Provincia e Regione, e non invece i vertici delle società di trasporti …

Questa è un’immagine completamente sbagliata: la realtà è diversa. Il Comune per esempio non detta proprio niente ad Atm, ma si limita a pagarne i costi. Non riesce a fare sì per esempio che Atm tagli le spese, anche se nomina per intero il suo consiglio di amministrazione.

 

Non le sembra un paradosso?

 

Il punto è che un rappresentante del Comune, nel momento in cui siede nel consiglio d’amministrazione dell’Atm, fa gli interessi dell’azienda e non invece quelli del servizio pubblico. E il direttore generale della società di trasporti urbani non accetterà un taglio dei fondi pubblici che riceve per ridurre i costi: è molto più facile vivere con finanziamenti abbondanti.

 

Chi può essere in grado quindi di imporre un taglio dei fondi pubblici?

 

E’ il Comune nella sua qualità di regolatore e non di proprietario dell’azienda che deve fare sì che ciò avvenga. Il problema vero è che ciò è tanto più possibile quanto meno l’azienda è grande e potente. Se poi le aziende sono private ancora meglio, perché a quel punto il Comune non ha più nessun interesse a continuare a erogare elevati fondi a una società che non è più sua. E così si crea un vero, salutare “braccio di ferro” tra il Comune che compra servizi e l’azienda che li produce. Mentre fintanto che il Comune è proprietario dell’azienda questo conflitto non c’è, perché Palazzo Marino con una mano dà e con l’altra riceve.

 

Concludendo, quali sono le sue proposte?

 

Atm andrebbe completamente privatizzata e i suoi servizi andrebbero messi in gara senza garantire al socio privato le garanzie di cui gode ora l’azienda pubblica. La stessa operazione potrebbe essere compiuta per Trenord, creando un bando per affidare i servizi attualmente gestiti dalla società.

 

(Pietro Vernizzi)