Inutile negarlo: il welfare così come l’abbiamo da sempre concepito non può più andare avanti. È troppo costoso e troppo generalista. Dunque? È ora di dare un’occhiata in giro, sostiene Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Che mette in parallelo l’esperienza lombarda e quel che accade in giro per il mondo. “Ciò che va emergendo come esperienze di welfare in Europa e negli Stati Uniti – dice – in primo luogo è che il welfare non è esclusivamente un discorso di ridistribuzione delle risorse a favore di chi è più sfortunato, ma una componente essenziale di qualunque sviluppo economico equilibrato”.
Anche se che associare il sostantivo “sviluppo” all’aggettivo “equilibrato” di questi tempi sembri un ossimoro…
E questa crisi lo dimostra più di ogni altro perché negli Stati Uniti i disoccupati di lunga durata hanno raggiunto un livello che è ai massimi storici dalla Grande depressione.
Anche da noi non si scherza.
Infatti. In Italia, in particolare, la disoccupazione giovanile è ormai a livelli insostenibili. Questo per dire che le garanzie sul futuro, che poi sono il significato vero del welfare, sono indispensabili per una società che genuinamente desideri crescere in modo sostenibile.
Sempre che lo desideri.
Dovrebbe, soprattutto come conseguenza della partecipazione e della diffusione della democrazia. Ma in Italia, a causa del violento squilibrio demografico, il più accentuato del mondo, paragonabile solo a quello del Giappone, è fondamentale che le risorse del welfare siano il più possibile finalizzate su obiettivi mirati, con strumenti di politica sociale ed economica orientati esattamente su quegli obiettivi.
Per esempio?
Le faccio il caso della Francia: i genitori che reiscrivono i figli alla scuola dell’obbligo, facendo loro proseguire il corso di studi, hanno diritto alla cosiddetta allocation de reentrèe scolaire (Ars), una sorta di premio di circa 300 euro. E non si tratta di una provvidenza corrisposta genericamente, come credito d’imposta o deduzione dal reddito, ma di soldi veri e propri.
Come la dote scuola della Regione Lombardia.
Esattamente. La dote scuola, ovvero i voucher che le famiglie possono spendere presso le cartolerie per comprare penne, libri, quaderni, cartelle, così come l’Ars francese, sono due strumenti molto precisi ed orientati su un obiettivo mirato della collettività, che è quello di favorire al massimo grado possibile la scolarizzazione dei bambini e dei ragazzi. Andare a scuola costa, anche se la scuola è gratuita. Avere uno zaino sbrindellato, piuttosto che non potersi permettere i quaderni e i libri, se in certi contesti è irrilevante, in altri fa la differenza. Questo intendo quando parlo di obiettivo mirato. Ma non solo.
Cioè?
Secondo tutte le volte che questo è possibile, il welfare deve essere decentrato, perché è chiaro che molti interventi sono tanto più efficaci quanto più l’istituzione è vicina al cittadino e quindi in grado di avere le informazioni necessarie per capire i reali bisogni da soddisfare.
Quindi la Regione Lombardia fa bene a coinvolgere le reti del terzo settore o si tratta di una delega impropria?
Fa benissimo, perché solo in questo modo il welfare lombardo può centrare gli obiettivi sulle fragilità dell’esistenza sul proprio territorio. E sempre a proposito di obiettivi mirati, aggiungo che fra Europa e Stati Uniti c’è una grande differenza di attitudine nel considerare cos’è welfare. Per noi sono molte cose: le pensioni, i trasferimenti alle famiglie, il trattamento di disoccupazione, eccetera. mentre il welfare americano da un lato è molto più robusto e dall’altro molto più mirato di quanto appaia agli osservatori europei e anche ad alcuni osservatori americani.
In che senso?
Le faccio due esempi di interventi mirati: il programma dei cosiddetti food stamp, i buoni alimentari nati negli anni ’40, ancora oggi sono distribuiti a 43 milioni di persone, più del 14% della popolazione statunitense. Ma non solo: c’è un programma su cui richiamo l’attenzione, che si chiama Wic.
Come “streghe”?
No, suona come “witch”, ma si tratta di ben altro: è un acronimo che sta per Woman Infant and Children, un programma federale dedicato alle donne sole che hanno bimbi piccoli fino a cinque anni, orientato a fornire l’alimentazione giusta per quantità e qualità a madre e figlio, già da quando la donna è incinta.
Infine, la “vile pecunia”: in Lombardia viene utilizzato l’Isee, l’Indicatore della situazione economica equivalente, per far partecipare alla spesa del welfare i cittadini.
Se il decentramento è vero e reale l’Isee è un sistema che può far stare in piedi il welfare, perché le situazioni anomale possono essere facilmente corrette. Ma usato impropriamente, è un’arma a doppio taglio: la cosa peggiore che in un Paese avanzato possa accadere a una persona che ha bisogno è che questo bisogno diventi di dominio pubblico. Esiste una povertà oggettiva, ma, come diceva Adam Smith, non essere poveri significa non doversi vergognare della propria situazione. Un welfare che non sia attento a questa dimensione è distorto, fatto male e alla fine inefficace.