Pochi ma buoni. Finita l’era dell’abbondanza, si apre quella della selezione. Anche nel grande “mercato” del welfare. Che l’economista (nonché senatore, che dopo aver lasciato il gruppo del Partito Democratico si è iscritto in quello Misto) Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, da buon liberale, vorrebbe un po’ più in mano ai privati e un po’ meno gestito dallo Stato. Come già succede in Lombardia. “Prima di tutto – spiega Rossi – è necessario fare una premessa: stiamo andando verso una stagione in cui lo Stato è bene che si concentri a fare meglio le cose per le quali esiste la pubblica amministrazione, ritirandosi da quelle non essenziali”.
Non è difficile intuirne il motivo.
Bisogna capire che abbiamo davanti dieci, quindici anni nei quali i bilanci pubblici si troveranno in estrema difficoltà. E questa generosità non sarà più possibile.
Vuol dire che il welfare è una concetto in via di estinzione?
Tutt’altro. È essenziale capire che le pensioni di anzianità sono forme di generosità che non possiamo più permetterci. Basta fare due conti per scoprire che per ogni lavoratore ci sono un certo numero di anni, che siano due, tre, cinque o anche di più nel caso dei prepensionamenti, che la collettività ha voluto regalare, ma che non corrispondono ad altrettanti anni di lavoro e contributi versati.
È così grave?
Non voglio giudicare se questo sia giusto o sbagliato: dico solo che non possiamo più permetterci di elargire pensioni anticipate, assegni di accompagnamento a chiunque, e così via.
Ma senza queste provvidenze, i più fragili non potrebbero sopravvivere.
E io infatti non voglio dire che si debba rinunciare a un welfare robusto, anzi. Lo Stato deve però concentrare le risorse solo dove veramente necessario.
E per il resto?
Si devono incentivare le iniziative dei privati, dei cittadini, delle associazioni. In questo senso la solidarietà e la sussidiarietà alle quali si ispirano le modalità del welfare lombardo sono un’ottima cosa. Diciamo che quello lombardo è un modello che ci sarà estremamente utile nel prossimo futuro.
Come immagina il welfare che verrà?
Penso a una solidarietà non più mediata dal pubblico, che potrà quindi impiegare le poche risorse di cui disporrà in maniera più efficace, lasciando al terzo settore e ai privati l’iniziativa in tema di welfare.
Non sarà un carico di responsabilità un po’ troppo alto per il popolo?
Tutt’altro: chiedendo ai cittadini un maggior coinvolgimento, lo Stato deve lasciar loro anche maggior libertà di scelta. Così come in Lombardia il sistema dei voucher, dei buoni da spendere presso gli erogatori dei servizi fa sì che questi ultimi cerchino di offrire sempre il meglio possibile.
Diciamo che come motore del welfare vede meglio il libero mercato, più che la filantropia.
Diciamo anche, se vuole, che oggi il mondo del volontariato e l’impegno delle fasce sociali più povere ha sostitutivo la vecchia filantropia dei ricchi. Comunque il coinvolgimento del settore privato e del terzo settore comporta una maggior presa di coscienza da parte dei cittadini che non potrà che essere positiva.
In che senso?
Nel senso che il diverso rapporto che si instaurerà di questo passo tra Stato e cittadino non sarà necessariamente meno proficuo, al contrario: il cittadino sarà più attivo e lo Stato potrà finalmente impegnarsi a fare meglio le poche cose che deve fare, invece che farne troppe e per giunta male.