Che l’avvio da parte degli Enti Locali delle procedure per giungere alle misure di razionalizzazione previste dai commi 4 e 5 dell’art. 19 del DL 98/2011, attraverso Piani di dimensionamento delle Istituzioni Scolastiche Autonome (ISA) portasse a reazioni quali quelle che abbiamo appreso dalla lettura delle notizie di Milano nei giorni scorsi, era pressoché inevitabile.
Dal punto di vista delle scuole il fatto ha un aggravante legato alla “obbligatorietà” di generalizzare la forma dell’Istituto Comprensivo per tutte le scuole del I Ciclo, che si unisce al nuovo livello minimo di 1.000 alunni necessario per salvaguardare l’autonomia delle Istituzioni.
La realtà scolastica ha, come tutti ben comprendiamo, una sua specifica complessità che rende poco applicabili norme organizzative uguali per tutti. L’ottimo sarebbe che i Piani, pur avendo come riferimento le indicazioni nazionali che puntano ad una razionalizzazione in ordine al contenimento della spesa, fossero deliberati a seguito di un dialogo aperto e costruttivo con la comunità del territorio e le scuole che fanno parte di esso.
Anche in una realtà come quella di Milano credo sia evidente a tutti che ogni zona ha una sua fisionomia particolare, sia per la composizione sociale sia per le strutture scolastiche che vi operano, e di questo è indispensabile tenerne conto. A questo si aggiunge che per ottenere una organizzazione funzionale ai fini formativi ed educativi occorre che le Istituzioni siano “governabili” al fine di una cura particolare anche verso la dispersione, i livelli di apprendimento e le situazioni di disagio, difficilmente ottenibile con un solo dirigente scolastico preposto ad una istituzione che, secondo i dati, supera anche i 1.500 studenti.
Questa posizione si aggrava, sempre da un punto di vista educativo e formativo, quando si intreccia con la decisione “forzata” sopra ricordata di generalizzare la forma dell’Istituto Comprensivo toccando una fascia ordinamentale in cui le dimensioni accresciute mettono a rischio la possibilità di perseguire, con la comunità scolastica, la loro primaria funzione educativa.
I Piani debbono essere al servizio dei bisogni formativi di giovani e famiglie e non del mero aspetto organizzativo-amministrativo, sottoponendo schemi astratti perché poco legati alla realtà cui fanno riferimento. In questo contesto lo slogan “la fretta è una cattiva consigliera” sembra calzare a pennello.
E’ necessario che Enti locali e Scuole abbiano il giusto tempo materiale per esaminare con attenzione le singole situazioni. In questo modo si potrà giungere a Piani che siano al vero servizio formativo del territorio e delle funzioni culturali, formative e sociali della scuola.
A fronte di questa pur breve analisi le richieste avanzate in diversi Consigli di Zona, e recepite dall’Assessore Guida, sia di una deroga sui tempi già definiti, sia sull’apertura di un tavolo di approfondimento e valutazione con dirigenti scolastici e territorio (Consigli di Zona stessi) sono condivisibili, perché dettate dalle necessità reali e non frutto di uno sterile confronto politico. Quanto questo potrà essere recepito in prima istanza dalla Regione che, nella sua autonomia, sembrerebbe poter prendere decisioni in merito e quanto invece l’urgenza sia dettata ancora dalle inderogabili necessità di bilancio e dal contenimento dei costi lo capiremo nei prossimi giorni. La speranza è che non sia la “Scuola” a doverci rimettere, a danno di studenti e famiglie e del servizio a loro erogato.