Milano non poteva fare di più per Paul Cézanne? E’ la domanda che sorge un po’ sconsolata una volta usciti dalla mostra dedicata al grande pittore a Palazzo Reale, dal titolo Cézanne. Les atéliers du Midi. Sconsolata per ambedue, per Milano e per Cézanne. Se è stato affermato che uno dei titoli possibili per questa mostra era “A spasso con Cézanne”, sembra subito evidente la debolezza dell’idea che è alla base del percorso che l’allestimento offre al pubblico, e con dovizia di mezzi grafici, di luci, di colori che accompagnano il visitatore in Provenza. Cézanne è talmente grande che tutto ciò che altrove è utile, qui è superfluo, tranne forse i grandi pannelli color ocra che citano le sue riflessioni, riprodotte in base alla calligrafia e alla firma del pittore.



La mostra presenta circa quaranta opere provenienti da grandi musei internazionali e riguarda l’attività di Cézanne in Provenza dalle prime opere compiute a Jas de Bouffan, la casa di campagna paterna attorno al 1860 fino a quelle realizzate in altri luoghi a lui cari, come l’Estaque, e soprattutto a Les Lauves, il solitario luogo degli ultimi anni, dove nascono lavori en plain air o, come amava ripetere, sur le motiv, in studio, dove crea ritratti, nature morte e rielabora temi cominciati all’aperto.



“Io vi devo la Verità in pittura e io ve la dirò”: con una frase così Cézanne mette con le spalle al muro coloro che guardano distrattamente la sua opera, così che si capisce anche l’altro famoso detto del pittore: “Ho giurato a me stesso di morire con il pennello in mano”. Vivere è dipingere, è dire la Verità.

Di fronte a una tale rocciosa semplicità, appare chiaro che non si tratta di andare in giro con Cézanne in Provenza alla ricerca di sensazioni solari, ma di entrare nell’hortus conclusus del suo lavoro, che è fatto, per usare un’altra sua espressione, di occhi e di cervello. Diceva all’allievo Emile Bernard: “In natura, tutto è modellato secondo tre modalità fondamentali: la sfera, il cono e il cilindro. Bisogna imparare a dipingere queste semplicissime figure, poi si potrà fare tutto ciò che si vuole”. E altrove: “Il disegno e il colore non sono affatto distinti tra loro: via via che si dipinge, si disegna; e più il colore raggiunge la sua armonia, più si precisa il disegno. Ricchezza del colore e pienezza della forma sono complementari, sono anzi una cosa sola”.



Perciò un piccolo consiglio a chi andrà a visitare questa mostra che è comunque da non perdere, tanto più che non tutti avranno la possibilità di godersi quella intitolata Cézanne et Paris, aperta al Musée du Luxembourg a Parigi, dedicata al rapporto conflittuale del maestro con gli Impressionisti e tanto meno quella prevista per il 2012 a Tokyo.

Prescindendo da quasi tutto il resto, guardate solo Cèzanne. E’ talmente grande che non serve se non qualche data e le sue citazioni per lasciarsi avvincere dal travaglio pacificato che ogni sua opera ripropone come frutto di una ricerca percepibile senza mediazioni. Cercate di ricacciare in gola il magone o la stizza per il trattamento che Milano ha riservato a quest’uomo, che viveva il silenzio e la solitudine del suo lavoro, scontroso, che ogni domenica andava a Messa con le tasche piene di monetine da distribuire ai mendicanti. Guardate le sue opere e lasciatevi riempire dall’amore di Cézanne per la sua terra natale, per i suoi paesaggi, i suoi frutti, i suoi abitanti. La pulizia, la misura, l’equilibrio, la limpidezza dei suoi mezzi espressivi comunicano da soli l’instancabile ricerca di rappresentare l’essenza del mondo, la certezza ritrovata dentro percezioni cangianti. Il pacato incanto delle ultime tele contiene l’immagine di qualcosa che non si vede nell’intrico di memoria e di segni, di gesti e di vita. Ha reso visibile l’invisibile, è stato detto. E questo fine dell’opera, quasi un incompiuto, commuove.