Le proteste degli studenti a Milano, contro la riforma della Gelmini, i tagli e il governo, hanno assunto rapidamente una brutta piega. Uova, vernici e fumogeni sono stati scagliati contro le sedi di Unicredit, di Moody’s e di altre banche. Sui cortei, campeggiavano slogan come “Not our debt” e “Save schools not banks”. «Non mi sembra che dietro questi fenomeni vi sia un qualsivoglia progetto politico, se non una volontà distruttiva e dissolutiva piuttosto accentuata», afferma, interpellato da ilSussidiario.net, Stefano Zecchi, professore ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano. Si direbbe che i manifestanti abbiano voluto scimmiottare le proteste degli Indignados a Wall Street. Qui in Italia, ad organizzarle sono stati i Collettivi studenteschi e la Rete Studenti. Nella capitale lombarda, vi hanno preso parte anche il collettivo Blackout e il centro Sociale Il Cantiere. Alcuni tra questi, non contenti dell’assalto alle banche, hanno preso di mira la sede della Regione Lombardia, tentando di forzare un blocco di carabinieri. Che c’entravano, vien da chiedersi, i carabinieri con le proteste contro la Gelmini? Che c’entrava, del resto, la Regione. O le banche e l’agenzia di Rating? «Non credo – spiega Zecchi – che ci sia qualcuno che manovri questi ragazzi. Sarebbe come ammettere che questo qualcuno sia convinto che costoro possano realmente rappresentare un blocco sociale da contrapporre all’establishment».
C’è, tuttavia, un’altra forma di condizionamento decisiva: «non si tiene sufficientemente conto di quanto la comunicazione sia in grado di influenzare e suggestionare i comportamenti. Queste persone guardano la tv e individuano, con assoluta semplicità e ingenuità cognitiva, il nemico. E, siccome i giovani devono spesso identificare nemici da combattere per portare avanti le proprie idee, di volta in volta ne scelgono di diversi. Secondo un atteggiamento, tuttavia, che appare donchisciottesco». Sul perché abbiano ritenuto di dover attaccare il palazzo della Regione, Zecchi non ha dubbi: «rappresenta il luogo del comando e del potere, un punto di riferimento per lanciare la propria battaglia privata. Come i carabinieri, del resto; rappresentano, per loro, il potere costituito, il bersaglio per eccellenza da abbattere». Vi è un denominatore comune a questo genere di manifestazioni: «si tratta di una forte semplificazione dei problemi reali. Semplificazione all’interno della quale c’è spazio per tutte queste iniziative, politicamente e culturalmente di estrema modestia».
Anche i ragazzi che vi prendono parte, in qualche modo sono uniti da un sentire comune: «credono – continua – in un illusorio mondo di perfezione, in cui tutti devono volersi bene in nome della fratellanza universale. Questa idea non solo si trova, di per se stessa, a dover fare i conti con la realtà ma confligge con gli atti vandalici che essi stessi compiono». Si tratta di fenomeni in qualche modo connaturati e alimentati dall’ondata di antipolitica che si è abbattuta su, più o meno, tutte le democrazie occidentali. «L’antipolitica è favorita da una politica sempre più discutibile sul piano economico e morale e caratterizzata, più che altro, da atteggiamenti opportunistici. Ma se la classe dirigente riuscisse a riprendere in mano il bastone del comando, ad amministrare i problemi e a riacquisire rispetto verso se stessa e i cittadini, i fenomeni dell’antipolitica si scioglierebbero come neve al sole».