Il suo compito è insegnare alle piccole imprese a pensare in grande. Si chiama Smart Work e aiuta le Pmi italiane a internazionalizzarsi, accompagnandole nell’identificazione delle strategie, del Paese più adatto al loro segmento di mercato e degli accorgimenti necessari per non fare il passo più lungo della gamba. Ilsussidiario.net ha intervistato Andrea Jacono, managing partner di Smart Work, per farsi raccontare che cosa consiglia a un imprenditore che desidera internazionalizzarsi. Ma anche per sfatare il mito secondo cui la dimensione globale sarebbe una prerogativa delle imprese medio-grandi.



Jacono, fino a che punto l’internazionalizzazione è realmente accessibile per una micro o piccola impresa?

L’accessibilità è trasversale. A fare la differenza non è la dimensione dell’azienda, ma la sua capacità e volontà di dotarsi di alcuni servizi. E’ vero che ci sono dei costi, e che quindi raggiungere i Paesi stranieri per le grandi aziende è più semplice. Ma il paradosso è che spesso chi ha più bisogno dell’internazionalizzazione sono proprio le piccole imprese. Quindi c’è uno scambio utilità-prezzo: dove c’è una maggiore utilità, normalmente Smart Work è anche disponibile a negoziare sul prezzo della consulenza, per arrivare a un punto di mediazione che tuteli sia il cliente che noi. Inoltre ho conosciuto piccole aziende guidate da una visione illuminata e manager di grandi imprese così focalizzati sulla loro attività da osteggiare nel modo più duro quanto stava realizzando il loro collega.



Spesso però i piccoli imprenditori non sanno che la loro ditta può internazionalizzarsi e temono di farlo …

Questo è un luogo comune diffuso ad arte. Ma non è il solo pregiudizio da sfatare: molti imprenditori italiani pensano che andando all’estero troveranno le stesse difficoltà burocratiche che si incontrano nel nostro Paese. In realtà non è affatto così, e appoggiandosi a operatori locali è possibile quindi compiere operazioni di buon livello, di successo, in tempi definiti e a costi ragionevoli.

Lei che cosa consiglia a una piccola impresa che desidera fare internazionalizzazione?



In primo luogo di non prendere la decisione di andare all’estero perché in Italia non sta ottenendo successo. Questa sarebbe una vera e propria fuga, e normalmente la conseguenza è che l’azienda si porta i problemi all’estero ingigantendoli. Il primo passo da fare è capire dove si intende esportare il proprio prodotto e i suoi eventuali punti di debolezza, in modo da risolverli. Il secondo passo da compiere è capire quale sia il Paese verso cui orientarsi, perché in base ai segmenti di mercato esistono delle notevoli differenze. Occorre quindi individuare degli Stati che abbiano una forte espansione in quel settore, ma dove l’imprenditore non sia uno dei pochi stranieri presenti. Quando Fiat ha deciso di entrare nel mercato cinese, lo ha fatto con mezzi e possibilità di gran lunga superiori. Il piccolo imprenditore deve seguire i grandi, e quindi andare nei Paesi dove c’è già qualcuno che gli ha aperto la strada. Il terzo consiglio è quello di compiere una vera e propria analisi di mercato.

 

E in che modo è possibile realizzarla?

 

Esistono delle ottime società che compiono questo tipo di attività, in modo molto professionale e fornendo degli elementi di sintesi affidabili. A fronte di un piccolo investimento iniziale, l’analisi di mercato permette di tarare l’offerta e ridefinire il prezzo, con la certezza che il Paese è recettivo. Infine sconsiglio nel modo più assoluto il “fai-da-te”, soprattutto per le aziende che non sono fortemente strutturate: in questo caso infatti il rischio di fallire è molto elevato. Molto meglio individuare una società in grado di supportare la piccola impresa offrendo un temporary management. Questi quattro elementi, se messi nel giusto ordine e sviluppati con la decisione che spetta all’imprenditore, possono portare a buoni risultati.

 

Quali sono i Paesi stranieri più promettenti per una piccola impresa italiana?

Occorre tenere conto del fatto che ogni volta che un’impresa si reca all’estero entra in una competizione globale: quindi il suo panorama competitivo è stravolto e se non sceglie bene il mercato in cui posizionarsi rischia di essere letteralmente polverizzata. Le eccellenze italiane inoltre sono soprattutto in settori come design, moda e alimentari, cioè nei prodotti di qualità, e non invece nella quantità né nell’alta tecnologia. Di conseguenza, il mio consiglio è quello di puntare in primo luogo sulla Russia, che ha una capacità d’acquisto ancora completamente inespressa. E’ un Paese difficile e con un elevato rischio imprenditoriale, ma che offre delle grandi opportunità a chi è capace di inserirsi nel suo tessuto sociale. Il secondo Paese è la Cina, che non è solo una fabbrica mondiale, ma anche un grande acquirente di prodotti di design italiano. In terzo luogo è possibile puntare sul Brasile, che ha una grandissima crescita e si conferma come il Paese leader del Sudamerica, anche se di recente sta subendo in modo non secondario la crisi finanziaria globale.

 

In che modo Smart Work assiste le piccole imprese che desiderano internazionalizzarsi?

 

Dal 2002 ci occupiamo di consulenza direzionale e commerciale, soprattutto nella fase di sviluppo dell’impresa, e in questi anni abbiamo operato con 130-140 clienti ciascuno dei quali si rivolge a noi per ricevere molteplici servizi. Ci concepiamo come un’azienda a rete, cioè riteniamo che ciascuno dei segmenti che collaborano a un progetto debbano avere una loro forte focalizzazione, verticalità e competenza. Lavoriamo a stretto contatto con società a capitale misto, per esempio italiano e cinese, che hanno il compito di posizionare i nostri clienti sul mercato del loro Paese. Abbiamo inoltre stabilito fin dall’inizio delle regole di comportamento del tutto trasparenti nei confronti del mercato, dei clienti e degli interlocutori locali, in modo che le parti condividano fin dall’inizio le loro informazioni. Anche da parte dei nostri clienti esigiamo che siano persone perbene, garantendo loro nello stesso tempo che l’azienda committente è seria e manterrà le promesse.

 

(Pietro Vernizzi)

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