Sedicimila sfratti in due anni, 6.416 nel 2010 e 9.500 nel 2011, con un incremento annuo del 30%. E’ una vera e propria emergenza quella che sta attraversando la città di Milano, con famiglie normali che da un giorno all’altro restano senza lavoro e sono costrette ad andare a dormire sotto un ponte o quantomeno in macchina. A lanciare l’allarme è stato il presidente della Casa della Carità, don Virginio Colmegna, che nel corso di una tavola rotonda ha proposto “un fondo di garanzia pubblico, che rassicuri i proprietari di case sfitte sulla capacità di pagare il canone da parte degli inquilini” di estrazione medio-bassa. Una proposta che trova favorevole Pier Luigi Porta, professore di Economia politica all’Università Bicocca e visiting fellow all’Università di Cambridge.
Professor Porta, che cosa ne pensa dell’allarme sfratti lanciato da don Colmegna?
Il presidente della Casa della Carità ha colto il momento giusto per iniziare ad affrontare una situazione che a Milano sta diventando difficilissima. A maggior ragione in un momento di crisi, con il nuovo governo Monti che prenderà provvedimenti sicuramente molto severi per l’economia. E le conseguenze saranno potenzialmente esplosive. D’altra parte in questi anni abbiamo assistito a un’economia iper-liberista che ha aumentato le diseguaglianze sociali, da un lato con un eccesso di produzione di ricchezza e dall’altro con una crescita della povertà. Inoltre, quella che è mancata è stata una politica dell’immigrazione coerente. L’insieme di questi fattori ha lasciato diverse fasce sociali in una condizione di miseria molto grave. Tanto che alcuni anni fa il cardinale Dionigi Tettamanzi ha creato un fondo per aiutare le famiglie senza lavoro. Oggi dobbiamo pensare a creare qualcosa di analogo per l’emergenza sfratti: occorre fare qualcosa, perché con l’attuale mercato gli affitti sono andati alle stelle facendo aumentare i milanesi costretti a dormire sotto ai ponti.
Don Colmegna ha parlato anche di “una casa albergo per accogliere chi finisce in strada dopo un’occupazione per necessità” …
Distinguere tra l’occupazione abusiva tout court e quella per necessità è un discorso un po’ delicato, che la Casa della Carità può permettersi di compiere in virtù della sua particolare sensibilità sociale. Un’istituzione pubblica come il Comune deve però considerare i reati in quanto tali, intervenendo nei loro confronti. Condivido invece l’idea di don Colmegna di creare dei fondi di aiuto per chi si trova in una difficoltà abitativa, creando inoltre una disponibilità di alloggi per venire incontro alle maggiori situazioni di disagio. Con questo il presidente della Casa della Carità non ha individuato una soluzione definitiva, però ha mosso un problema è reale. Non dimentichiamoci che don Colmegna è anche il fondatore del Centro Studi Sofferenza Urbana (Souq), che va nella stessa direzione.
Fino a che punto il problema va risolto con nuovi investimenti, e fino a che punto basterebbe una gestione più accorta del patrimonio immobiliare del Comune?
Occorrono entrambi gli interventi. Il Comune in questo momento ha pochi fondi a disposizione, perché lo Stato è super indebitato e quindi le possibilità di investimento da parte degli enti locali sono limitate. Quello che può fare Palazzo Marino è una migliore gestione del patrimonio delle case popolari e il sostegno e la sponsorizzazione delle iniziative sociali dei privati.
Quali altri interventi sono necessari da parte del Comune?
Occorre calmierare gli affitti della città: se un tempo l’equo canone finiva per essere penalizzante per il proprietario, oggi ci troviamo nella situazione esattamente opposta. Anche se ultimamente il valore degli affitti ha iniziato a ridursi, proprio perché per effetto della crisi la gente non riesce più a pagarli. Questa tendenza andrebbe incoraggiata in due modi: espandendo l’offerta e incentivando i proprietari a concedere degli affitti calmierati in cambio di sgravi fiscali. Nei confronti degli studenti inoltre si possono incoraggiare, come già fatto ma in modo ancora troppo blando, contratti di durata inferiore rispetto a quelli regolari, che di solito sono di quattro anni più quattro, a condizione però che il canone non superi un determinato valore.
Ma il problema degli affitti a Milano non può essere risolto incentivando chi sceglie di acquistare casa nell’hinterland?
Per effetto degli affitti salatissimi che si pagano a Milano, sono diverse le persone che sono state già costrette a trasferirsi nell’hinterland. Ma questa scelta ha altri tipi di costo, cioè quelli legati ai trasporti. Occorrerebbe quindi intervenire con un incremento dei mezzi pubblici, ripensandoli soprattutto in funzione delle famiglie, che sono il soggetto che sta soffrendo di più a causa della recessione.
Dopo il picco della crisi del 2008-2009, la povertà a Milano sta continuando a espandersi o sta rallentando?
Il fenomeno si sta ancora espandendo, anche perché la situazione economica in cui ci troviamo non lascia affatto intravvedere un futuro migliore. La ripresa a Milano non è ancora iniziata, e le fasce più deboli soffrono di più della carenza di occupazione, opportunità e iniziative. La crisi che stiamo attraversando è la più grave che ci sia stata a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, e il suo effetto è quello di fermare tutto quanto. Le banche “congelano” le iniziative che avevano previsto, differendole, ed è chiaro che questo influisce sull’occupazione, soprattutto dei giovani, creando una situazione sociale difficile sia per le persone della classe media e ancora di più per quelle delle classi inferiori e per gli immigrati.
Quanto è vasto il fenomeno degli appartamenti sfitti a Milano e in che modo va affrontato?
La questione va osservata sotto un punto di vista che è molteplice. Da un lato c’è un problema di ordine pubblico, con interi quartieri che sono finiti in mano a un giro malavitoso che sta creando dei gravi problemi per la sicurezza della città. Ci sono però anche dei problemi di altro tipo. Molti proprietari sperano di ottenere degli affitti più elevati, in un momento in cui la crisi li sta facendo scendere, e piuttosto che rinunciarvi tengono le case sfitte. E la conseguenza è che c’è più offerta che domanda per il fatto che i canoni sono ancora troppo cari.
Perché il mercato da solo non è sufficiente a regolare questa incongruenza?
Ci troviamo in un periodo di transizione, il mercato ha bisogno di tempi lunghi per rendere l’offerta adeguata alla domanda, e nel frattempo la gente soffre. Il compito del Comune quindi deve essere quello di creare degli stimoli, degli incentivi e dei momenti di pressione per smuovere la situazione più rapidamente di quanto il mercato farebbe da solo.
(Pietro Vernizzi)