Meet the media guru. Così si intitolava l’incontro con John Lasseter che ha gremito il Teatro dal Verme di Milano. A dire il vero non so se ho davvero avuto davanti un guru, e poco importa, so però che valeva davvero la pena  incontrare Lasseter, CEO di Pixar e Walt Disney Studios, in Italia per inaugurare la mostra Pixar-25 anni di animazione aperta al PAC di Milano fino a 14 Febbraio p.v.. Il papà di Woody e Buzz di Toy Story, di Nemo, della famiglia degli Incredibili, del topo Remy di Ratatuille si è offerto a un pubblico dall’età media sorprendentemente bassa con la usuale camicia hawaiana con cui è abituato a farsi riprendere da anni.



“Io volevo solo divertire le persone, farle ridere e commuovere come io ero commosso dai film di Walt Disney”. Ci ha parlato subito di questa intuizione iniziale, mossa da una passione, quella per l’arte, ereditata dalla mamma (“era un’insegnante d’arte”) che ben presto è diventata passione per i cartoon. “Mi piacevano i cartoon anche all’età in cui avrebbero dovuto piacermi di più le ragazze e lo sport”, ammette candidamente strappando l’applauso di una platea che sembra capirlo perfettamente.



Ci aspettavamo di incontrare un fanatico di tecnologia e invece ci siamo ritrovati un artista che ha subordinato la tecnologia al servizio della sua creatività. “Computer e tecnologia sono solo uno strumento, la tecnologia non intrattiene nessuno”, lo sentiamo dire mentre sgraniamo gli occhi. Il primato va alla storia, ai personaggi e al loro mondo, il resto ne consegue. Tutto qui il segreto di Pixar: storie ben narrate che tengano lo spettatore attaccato alla sedia nell’attesa di una svolta, personaggi “memorabili e attraenti, fossero anche i cattivi”, ambientazioni credibili per la storia, non necessariamente realistiche. Potrebbe essere la ricetta di un buon libro, ma in fin dei conti John non è altro che un grande narratore.



Un po’ a sorpresa non abbiamo sentito parlare dei software sofisticatissimi che animano queste idee, ma di un metodo di verifica nel reale della tenuta degli elementi della storia; così i collaboratori di Lasseter hanno speso giornate ad osservare il giardino di fronte agli Studios prima di realizzare A bug’s life, a scandagliare i fondali con la barriera corallina prima di mettere mano a Nemo e (i più fortunati?) a passare giornate nei ristoranti e nelle piazze di Parigi per cogliere quell’atmosfera unica, e quella luce, che abbiamo poi ritrovato intatta in Ratatouille. Osservare la realtà, un metodo d’antan che forse non ci aspettavamo più.

Un giovane che infine gli ha posto la domanda su come diventare come lui, su come perseguire il suo sogno è stato spiazzato da una risposta nel puro stile di Steve Jobs, che ha messo lo zampino anche nel destino di Pixar: “be wrong as fast as you can!”. Io l’ho inteso così: non aver paura di sbagliare, alla perfezione ci si avvicina per approssimazione. Prova e riprova, lavora e rilavora, non scoraggiarti dagli errori, anzi dovrai farne molti: per questo falli in fretta, non sederti, arriverai prima alla meta.

Delle molte parole che ho sentito mi ha però impressionato l’invito a coltivare ciò per cui “si sarebbe disposti a lavorare anche senza essere pagati”. Come per dire che il lavoro ha un compenso in sé che non è solo la retribuzione: i soldi dello stipendio ci servono sì per vivere e sono necessari, ma il compenso del lavoro è molto di più. Sta nella realizzazione di un desiderio che è sorto in noi, nella manipolazione del reale per il proprio e altrui bene. Non fosse altro che per strappargli una risata al buio sgranocchiando pop corn.

Tornando a casa dall’incontro con questo uomo di cinquantaquattro anni anagrafici, ma dodici quanto a passione e proiezione di sé nel futuro, mi accorgo che è proprio questo il messaggio  che mi resta di più in testa: per essere creativi bisogna tenere i piedi per terra, amarla questa realtà fatta di erba, acqua, terra e cibi buoni, e bisogna lavorare sodo perché una passione fiorisca in modo che arricchisca noi e chi condivide questo tempo con noi. Una concezione della vita in cui la  ricchezza è molto, incommensurabilmente di più, del conto che abbiamo in banca.