Il Comune di Milano ha approvato il bando per la vendita del 20% di Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa. La decisione, presa dall’intera maggioranza che sostiene il sindaco, Giuliano Pisapia, e con l’astensione del centrodestra, prevede due possibili opzioni: o la vendita di una quota Sea e del 18,6% di Serravalle, o del 29,75% di Serravalle senza toccare Sea. Per Roberto Zucchetti, professore di Economia dei trasporti all’Università Bocconi e ad del Gruppo Clas, “la vendita di Sea equivale a mettere nelle mani di un potenziale avversario le porte della città, ed è un grosso punto interrogativo sull’esistenza di una classe imprenditoriale milanese degna di questo nome”.
Professor Zucchetti, come valuta il bando per la vendita di Sea e Serravalle approvato dal Consiglio comunale di Milano?
Sicuramente Serravalle non è un asset strategico. Quindi è del tutto indifferente che la tangenziale di Milano e l’autostrada per Genova siano di proprietà pubblica o privata. Diverso è il problema degli aeroporti: nel nostro mondo globalizzato sono un elemento essenziale di competizione. E credo che sia lecito farsi la seguente domanda: “Perché la business community di Milano accetta di mettere le porte della città in mano a chiunque, purché sia disposto a pagare?”. Qui si scontrano diversi modi di vedere il futuro. Possiamo essere certi di un futuro di armonia e di pace, dove chi investe in un asset come Malpensa lo farà rendere al meglio. E in questo caso possiamo confidare nel fatto che chi spende i soldi per comprare le quote Sea la farà funzionare nell’interesse della città. Ma con gli scenari attuali, questa certezza non può essere così granitica. Se Sea dovesse essere acquistata da un concorrente che vuole mettere le mani sul ricco mercato milanese, o limitare l’economia lombarda, anche le nostre imprese ne risentirebbero.
Perché secondo lei nessuno muove un dito per evitare che Sea finisca nelle mani sbagliate?
Quando il Comune di Milano ha investito nella Sea, e ricordo che Malpensa in origine si chiamava “Aeroporto Intercontinentale Città di Milano”, lo ha fatto perché all’epoca l’aviazione commerciale era agli inizi, e allora nessun privato avrebbe scommesso su un aeroporto. I nostri politici negli anni ‘50 avevano compreso quanto fosse importante avere un aeroporto intercontinentale, in grado di fare atterrare i grandi aeroporti che varcano gli oceani.
Invece cosa sta avvenendo oggi?
Oggi il Comune disinveste sull’aeroporto perché economicamente quest’ultimo sta andando bene e ai privati fa gola. Ma la nostra classe dirigente ha in mente la stessa preoccupazione che hanno avuto i nostri nonni nei primi anni ’50, quando è nato il progetto Malpensa? Una città dell’importanza di Milano deve investire nell’aviazione civile per non trovarsi poi spiazzata dall’evolvere delle tecnologie e delle situazioni. I soldi che saranno ricavati dalla vendita di Sea andranno a ripianare un buco non certo della portata strategica come quella che l’aeroporto ha avuto nell’ultimo mezzo secolo.
Marco Ponti, in un’intervista a Ilsussidiario.net, ha parlato però dell’esistenza di una tassa occulta che gli utenti pagano a Sea per l’assenza di concorrenza …
In parte sono d’accordo, perché su tutta una serie di public utility i consumatori pagano un prezzo che permette a queste società pubbliche di fare dei margini extra, che non sono giustificati da un’eccellenza tecnologica ma dal fatto di agire in una situazione di monopolio. Da questo punto di vista quindi ha ragione Ponti ad affermare che questi soldi andrebbero lasciati nelle tasche dei consumatori, abbassando i prezzi, oppure reinvestiti in modo strategico guardando al futuro. E devo ammettere che tutto questo oggi non sta avvenendo. Non sono però d’accordo sull’idea di Ponti di mettere in competizione Linate e Malpensa. Sono due aeroporti differenti, con funzioni diverse, e già troppe volte Milano e la Lombardia hanno sofferto del mancato coordinamento tra i due scali. Sembra strano, dal momento che dipendono dalla stessa società, ma molto spesso hanno agito uno in danno dell’altro. E l’accessibilità di Milano, specie quella di lunga distanza, ne ha sofferto molto. Sarebbe un vero guaio accentuare questa competizione tra i due aeroporti affidandoli a due gestori diversi. Rischieremmo di perdere di vista l’interesse complessivo della nostra comunità.
Da dove nasce la competizione tra Linate e Malpensa?
La Regione, che ha un’ottica più ampia del solo Comune di Milano, ha tentato più volte di ridimensionare Linate per ingrandire Malpensa. Nella globalizzazione conta il fatto di essere sulla carta geografica del mondo. E ciò avviene se si hanno collegamenti intercontinentali diretti. Il vero problema non è quanto tempo perde un milanese che deve andare in Cina, se è costretto a trasbordare a Francoforte. Il punto piuttosto è che l’impresa cinese o indiana, se non ha collegamenti diretti con Milano, il giorno in cui dovrà localizzare un’impresa o un centro direzionale europeo, preferirà Parigi o Londra. L’accessibilità intercontinentale diretta è fondamentale per attrarre investimenti esteri. Per fare questo occorre concentrare il traffico su Malpensa. Linate ha i pregi di essere un aeroporto comodo, sottocasa, cui i milanesi si sono molto affezionati, perché è raggiungibile in 20 minuti dal centro. Ma l’aeroporto cittadino ha portato via una fetta di mercato impedendo a Malpensa di continuare a mettere a disposizione tutta una serie di rotte. Si è cercato più volte di regolare il traffico tra questi due aeroporti, e in parte non ci si è riusciti perché la classe dirigente milanese non ha visto abbastanza lontano. E così l’accessibilità intercontinentale di Milano oggi è molto bassa.
Ma lei vorrebbe chiudere Linate?
Niente affatto. Innanzitutto, i bilanci del Comune sono in rosso, ma la Sea è in attivo. Chiudere Linate quindi sarebbe ovviamente un errore, perché ridurrebbe il valore della società aeroportuale. Il problema è un altro, e cioè che il Comune di Milano ha sempre ragionato più come il proprietario di un asset che come il rappresentante degli interessi della comunità lombarda. Occorre invertire questa prospettiva.
(Pietro Vernizzi)