Ormai l’appuntamento è diventato una tradizione: per il quarto anno Palazzo Marino, sede del Comune di Milano apre le porte per accogliere un capolavoro, con ingresso libero per tutti. Ma quest’anno la novità è che le opere sono due, arrivate ancora una volta dal Louvre, e hanno (giustamente) soggetti attinenti al Natale. Ma dopo Caravaggio, Leonardo e Tiziano riuscirà Georges de La Tour a richiamare la grande folla cui quest’appuntamento ci ha abituati? De La Tour è un grandissimo pittore, il più importante caravaggesco francese; un pittore misterioso, affascinanate e molto raro che ha conosciuto una grandissima fortuna grazie a due straordinarie mostre che Parigi gli ha dedicato nel 1972 e nel 1989 e che ebbero un inatteso successo di pubblico. In Italia non ci sono sue opere per cui l’occasione milanese è da non perdere. Tanto più che arrivano due suoi capolavori: il San Giuseppe falegname e l’Adorazione dei pastori.



Come aveva scritto Roberto Longhi, Georges De La Tour da Caravaggio aveva imparato a innervare di nuova vita e di verità i soggetti religiosi. In questo era stato il suo miglior allievo (un caravaggesco «per nulla servile», lo aveva definito). Certo il suo mondo è diverso: viene dalla provincia francese, non ha nulla della intemperanza di Caravaggio, è un artista riservato, dal temperamento profondo e meditativo. Il suo san Giuseppe è colto al lavoro, in un momento di quotidiana intimità. Chinato quasi a 90 gradi, con il succhiello sta facendo un foro nella grande trave di legno che sta ai suoi piedi, allusione alla Croce. A far luce c’è Gesù già ragazzino che protegge con la mano la fiamma perfettamente affusolata e abbagliante. Una fiamma tutta particolare, perché più che rischiarare il buio dell’ambiente, accende di una luce tesa e pura il volto di Gesù e di riflesso anche la fronte di suo padre. C’è un silenzio sospeso nella stanza; pur messi uno di fronte all’altro, Gesù e Giuseppe non incrociano i loro sguardi, come se già ci fosse piena consapevolezza del destino che quella trave indica. Giuseppe con le sue mani forti da artigiano, non viene meno al suo compito e preme sull’attrezzo.



Il suo volto è segnato da un dolore composto e trattenuto, tanto che il bagliore di luce che brilla nella sua pupilla può essere scambiato per l’accenno di un pianto. Gesù invece guarda fisso davanti a sé, con l’occhio innocente e certo di un bambino. La Tour, con una soluzione mozzafiato, ne isola il profilo nel buio della stanza, come a voler rendere la fisionomia stupefatta del mistero. È un capolavoro perfetto questo di La Tour: l’ordine quotidiano delle cose sembra riflesso di un altro ordine, compiuto ma pienamente umano. L’istante incrocia l’eterno, senza snaturare se stesso.



È un quadro imbevuto di consapevole accettazione del destino, come pure l’altro capolavoro arrivato dal Louvre. Nella Natività l’ambiente scabro è popolato dalla gente di Luneville. Ma ancora una volta il focus del quadro è nel rapporto tra Giuseppe e il Bambino in fasce. Le funzioni sono rovesciate, perché è Giuseppe che in questo caso tiene la candela tra le mani. E risponde alla silenziosa ieraticità di Maria con uno sguardo pieno di una tenerezza e di un amore che ancora ci commuove. Ancora una volta è la figura di Giuseppe la strada maestra che porta il realismo di La Tour nel cuore del mistero.