Dramma familiare e allo stesso tempo sociale, Roman e il suo cucciolo, in scena al teatro Franco Parenti di Milano, è uno sguardo neutrale e non ideologico sulla presenza degli immigrati nel nostro paese che ha cambiato la fisionomia delle città. L’impianto drammatico si sviluppa nel controverso rapporto tra un padre analfabeta e spacciatore e il figlio, succube dell’autorità paterna, che però coltiva nascostamente sia illusorie prospettive di vita, sia la progressiva dipendenza dall’eroina. Il tutto a creare una situazione parentale toccante e piena di incomprensioni, a tratti cruda e sconvolgente che culmina in un fatale, catartico epilogo.



Un’opera questa già  attuale nel 1986, quando fu portata in scena  al New York City’s Public Theater con il titolo Cuba and His Teddy Beat. Ambientata nella comunità metropolitana dei latinos con la magistrale interpretazione di Robert De Niro nel ruolo di Cuba. Dopo 25 anni è di nuovo in teatro voluta dalla sensibilità umana, politica e professionale di Alessandro Gassman che  ha saputo traghettare il testo di Reinaldo Povod, tradotto e adattato da Edoardo Erba, al di qua dell’oceano e calarlo nella quotidiana realtà di emarginazione  della comunità rumena a Roma. 



Aldilà degli adattamenti e delle sperimentazioni, delle letture politiche che è consapevole di attirare, Roman e il suo cucciolo è un’opera teatrale che dimostra la maturità artistica di un Alessandro Gassman che non teme di assumere lo stesso ruolo che 26 anni fa a New York vestiva Robert de Niro e di recitare al teatro Quirino, intitolato a suo padre. L’impostazione drammatica e mistica di con cui Gassman allestisce la rivisitazione italiana del dramma, ridona umanità alla violenza, tolleranza alle inevitabili limitazioni delle nostre personali libertà e toglie, per quanto è possibile, paure  per le forzate convivenze con pluralità etniche così lontane e diverse.



In scena un dramma personale e sociale, tra padre e figlio nella difficile realtà degli immigrati rumeni in Italia. Quanto di lei c’è in questo testo? Perché la scelta di queste tematiche?

Io tra l’altro sono padre, sono nipote di immigrati dalla Germania nazista, quindi in qualche maniera mi ritrovo in queste tematiche. Non ha nulla in comune il mio personaggio con la mia vita personale, nel senso che ho avuto con mio padre sempre un rapporto positivo. Mi interessava l’argomento, mi interessava il rapporto tra un padre e un figlio. Credo sia importante che anche il teatro, e anche un grande evento con Amnesty International si occupi di tematiche sociali così attuali. Tre giorni fa il Presidente della Repubblica Napolitano ha sostenuto che è ignobile e assurdo il fatto che chi nasce nel nostro paese da genitori stranieri non possa avere la cittadinanza. Chiaramente non può che trovarmi d’accordo, e questo un po’ è quanto sostiene anche la storia che sto raccontando sul palco.

Rapporto con lo stesso spettacolo interpretato da De Niro 26 anni fa. Cosa riprende? In cosa si diversifica?

Di quello spettacolo non esistono riprese, ho letto solo le critiche. Le similitudini che abbiamo trovato con Edoardo Erba che ha adattato per il teatro il testo tra la comunità cubana che viveva nel Bronx negli anni 80 e quella romena che vive nelle periferie delle nostre città molto forti. È stato abbastanza naturale per noi spostare l’azione a oggi nel nostro paese e credo che questo abbia aggiunto alla versione italiana una valenza sociale straordinariamente importante. Insomma, sappiamo che nel nostro paese sono 1 milione e 400 mila, la stragrande maggioranza di loro sono persone che vengono nel nostro paese per lavorare. Alcuni di loro commettono reati e com’è giusto che sia devono essere puniti, come devono essere puniti gli italiani. Siamo in un paese dove, come sappiamo, il senso di impunità è molto dilagante, è molto percepibile chiaramente da parte di noi italiani e credo che questo crei un senso di libertà anche a delinquere che magari nel loro paese non è consentito.

Esperienza personale: commento sul lavoro fatto nell’allestire questo evento. Qual è il messaggio che vuole lasciare lei più che il testo in sé?

Dobbiamo abituarci a vivere in una società multietnica, lo sarà sempre di più. Non torneremo mai indietro, cioè non torneremo mai a un’Italia come quella di una volta, come raccontava con malinconia dai nostri padri e dai nostri nonni ma mi auguro che l’arrivo di stranieri sempre più numeroso supporti la nostra società ad evolversi in meglio e non in peggio. non deve far paura ciò che non conosciamo, però dobbiamo imparare a conoscerlo. Quindi credo che il teatro debba preoccuparsi di fare informazione anche in questo senso. Abbiamo lavorato 40 giorni per le prove vere e proprie. Questa è la terza stagione di Roman, sta per raggiungere le sue 800 repliche, è stato visto da 250.000 persone. La cosa che mi emoziona sempre tutte le sere come la prima sera è il grande impatto emotivo che questo spettacolo ha sul pubblico e su di noi che siamo in scena e questo coinvolgimento anche di tipo sociale che è un po’ anomalo per il palcoscenico del nostro paese.