Quartiere Garibaldi, una delle zone a più tumultuosa e vertiginosa crescita della nuova Milano, quella dei grattacieli. In mezzo a cantieri giganteschi e a un traffico caotico, una chiesa molto cara ai milanesi. E’ quella di Sant’Antonio da Padova, la cui costruzione cominciò nel 1902 quando questo era uno dei quartieri più popolari della città e consacrata il 12 giugno 1906 dall’allora arcivescovo il beato Andrea Carlo Ferrari. Nel luglio 1937 Pio XI la dichiara Basilica minore Romana, ma oggi non è neanche più parrocchia. Nonostante ciò rimane un simbolo caro alla religiosità dei milanesi, e un simbolo anche della capacità di servizio della chiesa ambrosiana: qua infatti si trova uno dei maggiori centri di accoglienza per o senza tetto di Milano, in grado di fornire circa cento pasti al giorno. Situata secondo uno schema urbanistico tipico del tardo ottocento europeo a un bivio, quello tra via Farini e via Maroncelli con la divaricazione dei fianchi, oggi rischia di rimanere un po’ schiacciata e dimenticata in mezzo a tanto sviluppo edile Il recente intervento di sistemazione del sagrato della chiesa ha dato un segnale di “riscossa”, ma non è l’unico.
Dice infatti l’architetto Maurizio Barile in una conversazione con IlSussidario.net, responsabile dello studio che ha completato il progetto di intervento del sagrato, (insieme a lui hanno lavorato gli architetti Antonello Bortoluzzi e Andrea Perego) che si sta preparando un intervento particolare. “Dalle varesine fino a via Farini è l’unico edificio religioso esistente, in mezzo ai grattacieli da una parte e a una delle zone a più intensa frequentazione giovanile, la movida di Corso Como”. Barile dice che “da Porta Garibali è rimasto uno scorcio visivo, una sorta di cannocchiale visivo in mezzo ai nuovi palazzi in costruzione che permette di individuare la statua di Sant’Antonio in cima alla chiesa. E’ ben visibile di giorno, ma non di notte. I frati allora ci hanno chiesto di predisporre una illuminazione speciale per far sì che la statua del santo spicchi in mezzo ai palazzi, come simbolo di religiosità in mezzo allo sviluppo vertiginoso, ma anche caotico della nuova Milano”. L’idea dunque di rendere visibile la presenza del santo illuminandola in modo adeguato di notte.
“Adesso stiamo pensando di aumentare questa illuminazione” aggiunge Barile “con una corona di luci da porre ai piedi del santo tipo quella che ha la Madonnina sul Duomo”. L’architetto ci racconta anche un particolare divertente. Alcuni frati, dice, decisi a contrastare la movida imperante ai piedi del santo, volevano porre luci intermittenti: “Una provocazione: così come c’è la movida, c’è anche sant’Antonio che balla”, L’idea però non è piaciuta alla maggior parte dei frati…
Come è nata l’esigenza di mettere mano al sagrato della chiesa?
L’esigenza esisteva da tempo, Era tempo nota ai frati e alle persone del zona. Si volevano risolvere due tipi di problema. Il primo era quello di contrastare in qualche modo il bivacco notturno dei molti senza tetto che di giorno vengono qui per la presenza della mensa dei frati. Durante il giorno infatti a pranzo ci sono più di cento persone alcune delle quali si fermano poi a dormire e a lavarsi nella fontana. Il sagrato di fatto era un semplice allargamento del marciapiede, anche male illuminato se non del tutto buio.
Il secondo problema invece?
Proprio davanti ai gradini e prima del sagrato esisteva un percorso stradale strano realizzato ai tempi della costruzione dell’edificio quando esisteva il collegamento tra via Farini e via Quadrio, quando cioè via Farini era a doppio senso. Negli anni questo collegamento stradale non ha più avuto ragione di esistere, serviva solo per far arrivare le auto per matrimoni e funerali. Funzione che comunque noi abbiamo garantito attraverso il posizionamento di due cordoli carrabili. Ma c’era anche un terzo problema in realtà.
Quale?
L’altra ragione molto importante era rendere più accessibile ai disabili l’ingresso in chiesa, costituito da gradini molto schiacciati verso la facciata e dove una persona solo con l’aiuto di un’altra persona poteva salire il dislivello esistente.
In che modo lo avete risolto?
Abbiamo realizzato due accessi laterali un po’ simili a quelli che ci sono in Duomo per i disabili. Mi verrebbe da dire anche più belli, meno ripidi e meno vistosi, ma in realtà il sagrato del Duomo è molto più alto e necessita di tali passaggi.
Dal momento della progettazione alla fine dei lavori quanto tempo è passato?
Circa due anni, di cui di lavori effettivi manuali solo due mesi. Il resto del tempo è stato speso negli inevitabili processi burocratici. Dobbiamo ringraziare il geometra Dixia Bresciani che lavora presso il nostro studio per aver portato a termine l’inevitabile trafila burocratica per ottenere il benestare dei beni ambientali e di tutti gli enti coinvolti: il demanio, i parchi e i giardini, il verde pubblico, le illuminazioni, l’Aem, l’Atm. Incroci vari che hanno prolungato a dismisura l’attuazione del progetto: a volte per fissare un appuntamento bisognava attendere anche tre mesi.
Che tipo di impostazione architettonica avete seguito? Avete tenuto conto del contesto storico in cui venne costruita la chiesa in origine?
Abbiamo usato come peraltro chiedeva anche la sovrintendenza ai beni culturali pietre e marmi tipici della vecchia Milano. Si tratta di beola grigia classica con finitura bocciardata posata in diverse forme e diversi schemi. Le linee di raccordo e il perimetro sono invece connotate da lastre di beola mentre i campi sono stati riempiti da blocchetti di beola a sacco simili ai sampietrini. Infine è stato mantenuto l’ultimo gradino dell’attuale ingresso della chiesa che forma una vera e propria soglia. In definitiva il nuovo sagrato si inserisce nell’isolato con la ripresa delle linee dettate dai fianchi della chiesa diventandone parte integrante , un insieme formato dal santuario, dalla fontana con il santo e dalle parti a verde.