L’esercizio della magistratura è ancor più nobilitante, se lo si pratica nella sede meneghina. Il prestigio di toghe ed ermellini, da sempre, si accresce al solo accedere al soglio milanese. A torto o a ragione. Ma adesso, qualcosa si è incrinato. La nomea rimane, e l’autorevolezza, agli occhi delle altre procure e degli altri tribunali italiani, pure; tuttavia, per la prima volta nella storia, c’è un’eccedenza dei posti disponibili rispetto ai candidati. Due poltrone vacanti resteranno tali in Procura, undici su ventuno in Tribunale. Come è possibile? Lo abbiamo chiesto a Simone Luerti
Perché si è venuta a determinare questa situazione?
Difficile stabilirlo con precisione. Di sicuro, le cause sono molteplici. Anzitutto, vi è una situazione nazionale di scopertura degli organici in tutti gli uffici giudiziari e Milano è partecipe di tale crisi. Ma la novità, inoltre, consiste nel fatto che il problema è trasversale: dal nord al sud, dalle Procure ai Tribunali, forse si salvano solo i grandi capoluoghi del meridione. Vi sono sedi, in Lombardia, che hanno problemi eguali e, forse, maggiori di quelli di Milano. Per la prima volta, alcune di esse, addirittura, sono state classificate come sedi disagiate. Al pari, ad esempio, di quelle di Palmi, Locri o Gela, per intendersi, che da tempo sono così denominate.
Nella sede meneghina sono state ravvisate particolari criticità?
Milano non ha particolari problemi ed è all’avanguardia in termini di innovazione. E’ una sede in cui si lavora tanto e mediamente bene: la giurisdizione milanese resta pur sempre un punto di riferimento anche per il resto d’Italia. Certo, tutto questo costa fatica ed il carico complessivo del lavoro, unito alla carenza delle risorse umane (sia magistrati che personale amministrativo) e materiali, diminuisce l’appeal di Milano.
Non crede che la sovraesposizione mediatica di alcuni processi possa incidere sulla scelta della sede?
Il magistrato medio non si lascia influenzare dal rilievo mediatico di alcuni processi. Non credo che il collega che sta in una sede diversa decida di chiedere il trasferimento a Milano in base alle prime pagine dei giornali.
Trova che vi sia una generale disaffezione nei confronti della professione?
E’ un problema che esiste, ma non si può trascurare che le giovani leve sono, di norma, entusiaste. Hanno seguito il faticoso percorso di accesso alla professione, che determina una selezione naturale di persone appassionate e disposte ai sacrifici. A Milano vi è poi un problema specifico nell’accesso alla magistratura: mentre nelle grandi sedi meridionali il lavoro del magistrato è una delle migliori possibilità per i laureati più meritevoli e molti partecipanti al concorso che provengono dal sud, una volta superato l’esame, si fermano a lavorare nella propria città o vi tornano appena possibile, al nord, al contrario, il ventaglio di offerte di lavoro per i giovani, nonostante la crisi, continua a rimanere più ampio e questo finisce per assottigliare il numero degli aspiranti magistrati.
Le facoltà di giurisprudenza preparano in maniera adeguata a svolgere, in futuro, l’incarico di magistrato?
Salvo notevoli eccezioni, in generale anche le facoltà di giurisprudenza patiscono lo scollamento dal mondo lavoro che si registra nelle università italiane. E non vi è una preparazione specifica ad una professione piuttosto che a un’altra. Per cui, lo studente di giurisprudenza giunge al termine del suo corso di studi con una preparazione abbastanza generica, non orientato ad uno sbocco particolare. Solo dopo la laurea, soprattutto che intende partecipare al concorso di magistratura o è comunque già orientato per una professione forense, può frequentare le Scuole di specializzazione per le professioni legali.
Se un grado di giudizio dura più di due anni, il cittadino ha diritto a un indennizzo; altresì, in sede civile, è prevista una maggiorazione del contributo unificato. Le maggiori risorse serviranno a pagare giudici ausiliari per smaltire il lavoro arretrato. Queste due norme, contenute nel maxiemendamento “Europa”, contribuiranno a sveltire i processi?
Difficile esprimere una valutazione oggi di fronte a un testo ancora preliminare. Certo che i problemi della giustizia italiana hanno origini così risalenti nel tempo, e sono talmente diversificati e radicati, che dubito si possa modificare sostanzialmente la situazione intervenendo con piccole leve sanzionatorie o premiali.
Quali sono i nodi cruciali della lentezza giustizia italiana?
Tra i problemi fondamentali vi è quello dell’eccesso di litigiosità. Dato l’ingente numero di cause, occorrerebbe, anzitutto, intervenire regolando alla fonte il flusso di ingresso: non vi è organico della magistratura che possa ragionevolmente affrontare il numero spropositato di cause che vengono intentate ogni giorno per le più diverse e spesso strumentali ragioni. Anche il numero degli Avvocati iscritti agli ordini è spropositato e ciò comporta indirettamente, ma fatalmente, una moltiplicazione del carico di lavoro per gli Uffici giudiziari. Le stesse Camere Penali hanno recentemente ammesso che esiste un problema di enorme soprannumero di Avvocati rispetto alle esigenze del Paese, con gravi ricadute in termini di professionalità, deontologia e quindi – dico io – di produzione di processi inutili. Le croniche farraginosità delle procedure civili e penali, infine, non favoriscono certamente la rapida definizione dei processi.
(Paolo Nessi)