Il Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta la mostra PIXAR, 25 anni di animazione, curata da Elyse Klaidman e in Italia da Maria Grazia Mattei, promossa dal Comune di Milano, in programma dal 23 novembre 2011 al 14 febbraio 2012. Dopo il MOMA a New York e un tour internazionale, dall’Australia all’Estremo Oriente, la mostra arriva finalmente in Europa e in anteprima a Milano. Quello che è esposto non è solo il processo produttivo di un cartone animato. Il percorso, costruito con oltre 700 opere, è un viaggio attraverso la creatività e la cultura digitale come linguaggio innovativo applicato all’animazione e al cinema. Dai modellini allo zootrope, dai disegni all’animazione computerizzata, il genio della Pixar mostra come negli anni, l’intuizione avuta con la produzione del primo Toy Story sia stata fin dal principio vincente.
Maria grazia Mattei, curatrice della mostra e ideatrice del ciclo di incontri “Meet The Media Guru”, dedicati alla cultura digitale racconta la mostra e la sua esperienza a IlSussidiario.net, come esperta ma soprattutto come appassionata di un mondo che è creatività, genialità, fatica ma soprattutto certezza nel futuro. Digitale e non.



“L’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte” ha detto J. Lasseter. Questo rapporto tra due sfere apparentemente contrapposte ha creato quella che oggi è una delle più grandi aziende di animazione, nonché uno dei luoghi dove è nata la contemporanea maniera di comunicare tramite immagine. Quale crede che sia il fattore di unicità di una tale esperienza?



La Pixar è una delle case di produzione più importanti al mondo, che è riuscita nel 1995, con Toy Story – primo lungometraggio interamente digitale – a segnare una svolta nella storia del cinema. La specificità della Pixar è stata quella di unire alla competenza tecnica una grande passione per l’arte. La sua unicità si può dire che consista nel coraggio che ha avuto di sperimentare la tecnologica – in un tempo in cui ancora nessuno lo aveva fatto – non come fine a se stessa ma finalizzata a raccontare storie, produrre narrazioni, suscitare emozioni.
Il secondo fattore di unicità consiste nell’innovazione che ha apportato ai processi di produzione in cui viene lasciato un grande spazio d’invenzione al team; quindi non è solo una casa di produzione che ‘produce’ film ma, in ogni occasione, hanno un ruolo fondamentale la ricerca e la creazione di mondi nuovi ispirati contemporaneamente alla fantasia e alla verisimiglianza.



Ancora Lasseter dice: “Molti non sanno che la maggior parte degli artisti che lavorano in Pixar utilizzano i mezzi propri dell’Arte – il disegno, i colori a tempera, i pastelli e le tecniche di scultura – come quelli dei digital media. La maggior parte delle loro opere prendono vita durante lo sviluppo di un progetto (…). La ricchezza del patrimonio artistico che viene plasmato per ogni film raramente esce dai nostri studi, ma il prodotto finale (…) non sarebbe possibile senza questa fase artistica e creativa”. Cosa vuol dire l’introduzione di una precisa sensibilità artistica nel mondo della comunicazione e animazione computerizzata?

Penso che sia oggi finita la fase della fascinazione tecnologica e del pensare che i nuovi mezzi generino per forza nuove forme espressive. Il lavoro della Pixar dimostra che dobbiamo sostenere un approccio culturale nella produzione dei contenuti. Non a caso con i suoi film la Pixar riesce a raggiungere tutti, a fornire diversi livelli di lettura e di piacere rispetto alle proprie opere.L’uso del computer certamente permette di fare progressi costanti nei linguaggi espressivi, ma l’attitudine creativa, artistica, umana è quella che riesce a fare lo scatto in avanti rispetto alla pura e tecnica definizione di forme.

Arte e tecnica, abilità informatica e genialità comunicativa. Ma l’animazione Pixar parla ai più piccoli innanzitutto. Qual è l’influenza maggiore che l’occhio dei piccoli ha avuto sull’esperienza di questa azienda, a oggi una delle più importanti e madre di Nemo, Monsters, Toy Story e molte altri?

La Pixar, in ogni produzione di un suo film, pone prima di tutto lo studio attento degli ambienti e dei personaggi; le storie vengono pensate sì ponendosi dalla parte del bambino, ma al tempo stesso l’occhio è approfondito e ricco di influssi. Quindi l’immaginario è quello della fantasia, se vogliamo fanciulla, ma la realizzazione e il pensiero che vi stanno dietro sono assolutamente frutto di altissime competenze professionali e culturali.

Milano è stata scelta come città italiana dove far approdare l’esperienza di questa esposizione, in quanto realtà più sensibile all’innovazione. Ma cosa significa per la città e per l’Italia in generale questo evento?

Per Milano questa mostra significa innanzitutto godere di un momento internazionale; Milano è una città attiva dal punto di vista dell’animazione e delle imprese digitali. Questa è una mostra spartiacque che pone l’accento su quelli che sono i forti processi innovativi dentro la scena digitale, ma non vuole sottolinearne l’aspetto autoreferenziale e tecnologico, piuttosto metterne in risalto il versante culturale.Il confronto internazionale è fondamentale per valorizzare le nostre idee, le nostre eccellenze made in Italy e per permettere di aprire un dibattito ampio sul cinema, ma anche sull’arte e sul suo futuro, tenendo come riferimento saldo la tradizione. Soprattutto rispetto alla produzione cinematografica, in Italia c’è il bisogno di riprendere lo slancio e di misurarsi con il mondo.

Dopo la scomparsa del genio di Jobs, questa mostra rappresenta allo stesso tempo la sintesi dell’esperienza di un modo di fare animazione e un punto di partenza. Che sviluppi può avere in futuro questo campo?

La mostra si pone infatti ad un crocevia. Il processo di digitalizzazione nel cinema è in continua crescita ed è inevitabile. Dentro questo processo è possibile continuare a inventare nuove storie, generare nuovi script, creare una “nouvelle vague” digitale. Nel futuro quindi secondo me vivremo storie tridimensionali che potranno essere fruite non solo sul grande schermo: avranno sbocchi e fruizioni sempre più diversi e diffusi sugli infiniti canali di cui disponiamo, dal mobile agli iPad alla rete.

(Caterina Gatti)